A cura di Annachiara Atzei
Vengono dal mondo
i segni della voce:
l’acqua increspata, lo stipite,
l’occhio, le stelle, vengono dal mondo
e restano, come cose. Dalla voce
qualcosa preme verso fuori
dopo adesso che è già stato
ogni volta in questa voce
sta per compiersi nel segno.
Roberto Cescon, Natura
I segni che provengono dal passato, dei quali facciamo tesoro e memoria nell’esperienza quotidiana, dal presente si protendono in futuro possibile connettendoci in un flusso che va oltre noi stessi. E la relazione tra ciò che è dentro e fuori di noi, tra ciò che è stato e ciò che è, è una realtà sognata e attesa. È questo il filo conduttore che unisce, come in un vero e proprio organismo, le diverse parti di Natura, la raccolta di poesie di Roberto Cescon in cinquina al Premio Strega Poesia 2024. Il libro infatti, come racconta l’autore in questa intervista, tiene insieme molti aspetti, indagando ciò che congiunge e accomuna umano, non umano e materia. Compito della lingua, e della poesia, è appunto comprendere la materia come soglia del mondo immaginato, ponendo una distanza tra la nostra coscienza e le cose che accadono. E questo, al contrario di quanto sembri, non è un allontanamento contro natura ma rappresenta la continua tensione verso la piena consapevolezza di sé e del tutto.

Il libro, che si intitola Natura, ragiona non tanto intorno a una natura fatta di formule scientifiche, quanto di connessioni remote tra l’essere umano e il mondo, di un percepirsi reciproco che è anche mentale ed emotivo e che attraversa il tempo. È così?
Natura tiene insieme molti aspetti. Non è la prima natura, la wilderness, neppure nella sua dimensione artificiale o agonistica; non è la seconda natura, quella addomesticata dall’uomo; non è “ecopoesia”. Ho cercato di indagare ciò che lega umano e non umano e la materia; la materia come soglia del mondo che comprendiamo con la lingua; la continuità del vivente perché ogni organismo incarna quelli passati, diventando parte di un flusso che lo proietta nel futuro. Mi affascina il processo col quale la nostra mente tiene insieme in modo colloidale ciò che è dentro e ciò che fuori di noi, ciò che è stato e ciò che accade, poiché vedere è sognare l’immagine attesa del mondo.
Mondo – voce – segno: un cortocircuito del dire. Come si inserisce il poeta nel percorso – anch’esso in qualche modo naturale, nel senso che la Natura è anche parola che sostiene e che guida – che va dal fondo delle cose fino alla scrittura?
L’unione di gesto, immagine, parola e materia sonora è il nodo della poesia, che si traduce: nel gesto di una voce che vede cose dentro e fuori di sé, in un tempo insituabile; nella materia come soglia del mondo immaginato; nelle sequenze di linee, dei colori, che sembrano muoversi come la sintassi; in noi che guardiamo le forme in movimento innescando il linguaggio. L’impulso di quelle forme scaturisce dalla propensione biologica e cognitiva dell’organismo. L’impulso dell’opera non sta in un evento della vita dell’artista o nell’intuizione di creare l’opera, ma nella sua origine, vale a dire in quel protendersi a comprendere l’ambiente tramite la lingua, in una relazione tenuta insieme dal gesto che trasforma la materia sensibile e sonora. D’altra parte, la poesia è anche un metro, il quale è la forma in cui la mente percepisce il ritmo e si nutre con la lingua ereditata dagli altri esseri umani, depositata nel tempo e rianimata nell’atto della lettura. Dunque, la lingua dell’esperienza entra in una forma, ma è la forma che invera l’esperienza, non il contrario. La poesia tende insomma a far aderire la lingua dell’esperienza alla forma dell’esperienza.
In prefazione, Maurizio Cucchi definisce la raccolta “un organismo”, cioè un sistema – o anche un essere vivente – dotato di parti connesse e interdipendenti. Cosa unisce tutte queste parti?
È la relazione, che costituisce il fondamento dell’organismo. La relazione prolunga l’organismo, è un insieme di materiali e condizioni che innescano una serie di processi vitali e che regolano le relazioni tra organismi, è un’eredità che percorre le generazioni degli organismi come fossero un unico organismo vivente. Anche la lingua ha bisogno della relazione con l’altro che si è preso cura di noi, da quando ha dato significato al nostro pianto. Inoltre, la relazione tra gli organismi si innesca e s’incarna nei segni, attraverso i quali i viventi si protendono nel futuro. Nei segni sfumano i confini dell’organismo e dell’ambiente: dove comincio io? Dove tu che mi ascolti? Quanto il mio segno ti cambia? Quanto il segno è la traccia di qualcosa che è avvenuto attorno a me? L’incedere di una volpe nel bosco assume significato per le sue prede e i suoi predatori, così come un nido su un albero o l’abbaiare di un cane che ne incontra un altro sotto i portici. I segni non stanno dunque solo nei suoni o negli eventi da cui scaturiscono, ma formano un tessuto che unisce gli organismi tra loro e provengono dal passato, quello dell’organismo che incarna tutti quello che lo hanno preceduto, diventando parte di un processo che lo supera, e dal presente si protendono nel futuro, un futuro possibile, che vive adesso.
Chi scrive non può non avere fiducia nella parola. Non a caso, una delle parti di questo lavoro è intitolata “Potere di parola”, quasi a riconoscerle la capacità di consentire il possibile e l’impossibile. La parola ha anche il potere di andare contro natura?
Quella sezione voleva indagare la dimensione performativa della lingua. C’è stato un tempo in cui gli esseri umani pensavano davvero che le parole facessero accadere le cose; non intendo l’uso imperativo o regolativo della lingua, quanto piuttosto una dimensione magica capace di sentire intimamente legate la lingua e le cose. D’altra parte, noi comprendiamo l’ambiente tramite la lingua, che è il “suono del pensiero”, e nel farlo ci poniamo a una certa distanza tra l’accadere delle cose e il nostro esserne coscienti. Verrebbe da dire che questo è contro natura poiché ci allontana dalle cose, invece siamo fatti così: è naturale vivere nella distanza. Tuttavia, la forma poetica si sforza di riportare la lingua dell’esperienza – già distante dall’esperienza in sé – a quel punto che sentiamo vivo, in una tensione inesauribile dove il sentire vorrebbe prevalere sul comprendere, fermandosi alle soglie della coscienza.
Il libro si chiude con questi versi: “Chi c’era prima che vivessi/ in questa casa, dove sei adesso/ e prima ancora, e quando te ne andrai/ come hai vissuto in questa casa/ resterà senza memoria, eppure nessun libro/ o storia, o viaggio, sarebbero accaduti/ senza queste stanze che, vertigine è pensarlo,/ vengono da millenni di uomini/ da come hanno vissuto, che poi sono ricordi/ cose, altre vite, entrati nello spazio/ in cui abiti con loro/ da sconosciuto quale sei”. Laddove tempo e spazio sembrano creare un flusso continuo, qual è il senso della memoria?
Senza la memoria saremmo algoritmi viventi senza essere noi stessi. La nostra esperienza si fissa nei depositi engrammatici, richiamati di continuo nel presente dell’esperienza nella quale produciamo segni che, come per tutti i viventi, ci proiettano nel futuro. Questo perché un segno proviene dal passato, che è l’eredità dell’organismo, e dal presente si protende già nel futuro possibile. Si potrebbe dire che è la propensione al futuro ad animare i segni, promuovendo lo stesso presente. Inoltre, ogni organismo incarna tutti quelli passati in continuità con sé stesso, diventando parte di un flusso che lo proietta nel futuro, oltre sé stesso.
Roberto Cescon è nato nel 1978 a Pordenone dove vive e insegna. Ha pubblicato Vicinolontano (Campanotto 2000), Il polittico della memoria. Aspetti macrotestuall sulla poesia di Franco Buffoni (Pieraldo 2005), Disabile chi? La vulnerabilità del corpo che tace (Mimesis 2020) e Di tutti e di nessuno. Una poetica della specie? (Industria & Letteratura 2022). Suoi racconti sono inseriti nell’antologia Scontrini(Baldini e Castoldi 2004). Nel 2010 esce, per Samuele Editore, il volume di poesie La gravità della soglia. Seguono le raccolte La direzione delle cose (Ladolfi 2014) e Distacco del vitreo (Amos Edizioni 2018).
In copertina: Roberto Cescon fotografato da Donatella D’Angelo

