A cura di Annachiara Atzei
“La poeta o il poeta non si colloca fuori dalla realtà piuttosto esce dalla realtà percepita per crearne una nuova, per ri-crearla, così che la coscienza non sia
condizionata dalla realtà esistenziale che abbiamo accettato come la sola possibile.”
Daniela Attanasio, Vivi al mondo

Sentire è un gesto interminabile. Da un ostinato, quasi epico, impegno sensoriale prende avvio l’arte di Daniela Attanasio. A cominciare dal primo libro, La cura delle cose (Edizioni Empiria, 1994), in cui si preannuncia il suo interesse speciale non tanto verso gli oggetti in sé quanto nei confronti di ciò che accade, passando per Di questo mondo (Aragno, 2013), nel quale si definisce raccoglitrice di voci, ogni sua riflessione ha come centro l’attenzione verso l’altro per cogliere le innumerevoli sfumature del vero.
Di questo, l’autrice e traduttrice romana di Anne Sexton, che è stata amica di Amelia Rosselli e di lei ha scritto in più occasioni, non fa mistero neanche nell’ultima raccolta, Vivi al mondo (Vallecchi, 2023), in cinquina al Premio Strega Poesia 2024, che molto dice sulla nozione di poeta e poesia, alla quale è dedicata un’ampia parte dell’ultimo lavoro. E non bisogna pensare che, nel fare ciò, ci sia presunzione – che voglia farci credere a quella sorta di illuminazione che sembra riguardare solo pochissimi – quanto semmai una coraggiosa predisposizione al patimento. Patimento che non è mai lamento vuoto e fine a sé stesso, mero rivolgersi al proprio io, ma prova di resistenza alle sollecitazioni del presente che si trasformano in occasioni per cogliere il senso del vivere e da esso farsi coinvolgere. Nel testo, infatti, Attanasio non fa solamente un ritratto del poeta e della sua filosofia letteraria, quanto, piuttosto, scende in fondo al suo essere umana e dell’umano prova ad accettare tutta le espressioni, tutte le ipotesi. E qual è il limite di profondità – se un limite è ammissibile – di questa ricerca? Forse, quello di cercare di individuare il confine tra permanenza e trascendenza, tra un corpo fatto di ossa e carne e il suo ricordo, tra vita e morte. I versi, infatti, sono sempre in bilico tra il riferire una presenza consolatoria e l’amarezza – talvolta addirittura il dramma – della perdita definitiva. Non a caso, uno dei temi della raccolta riguarda il rapporto tra esistere e mancare, la circostanza, che sempre allontaniamo, di sopravvivere a qualcuno che improvvisamente esce dal nostro orizzonte, o la paura dell’ignoto che la scomparsa porta con sé. E chissà se “il poeta abbia più a cuore la morte che la vita”. Alla domanda, ogni lettore darà la propria risposta.
In proposito, mi viene in mente un verso di Antonella Anedda tratto da Notti di pace occidentale: “Al buio ci si abitua/ quanto più si accantona il conforto della luce/ quando si impara che l’uno/ è la sponda secca dell’altra/ ai lati di uno stesso fiume”: anche qui è riportata una sorta di convivenza tra due opposti, quel penetrare l’uno nell’altro al quale pian piano ci si rassegna, con il quale si fanno i conti. In questo, le due poete si somigliano, sussurrano allo stesso modo, consce che la lingua non è innocente e quindi va calibrata, dosata – “scrivo con riluttanza/ con pochi sterpi di frase”, dice ancora Anedda – per cogliere nel segno e nominare il giusto concetto, descrivere lo stato d’animo di un istante. Tempo, maturità e naturalezza della parola diventano, allora, gli strumenti per interpretare gli avvenimenti e congiungerli insieme cercando di intercettarne i reciproci capovolgimenti.
A noi, viene chiesta una sola cosa, quella di prendere atto della contiguità tra due universi apparentemente divisi e di sottostare, nostro malgrado, alla regola del distacco. La scelta sul come farlo spetta a ciascuno e, forse, la chiave di una maggiore consapevolezza di ciò al quale siamo destinati con certezza è proprio imparare ad ascoltare, a guardare al di fuori di sé. Così fa Daniela Attanasio – senza pretesa di insegnare nulla – esercitando di continuo la sua capacità di percezione e provando a condividerne le ragioni con il lettore. Con versi distesi, quasi discorsivi – spontanei, misteriosi e accurati, in questo esatto ordine, come amava dire Elisabeth Bishop riguardo alla vera poesia – che tuttavia talvolta si spezzano all’improvviso, quasi precipitando nel bianco della pagina, mette in sequenza segmenti di una esperienza individuale – per tale motivo preziosa – vissuta come vigile sentinella, mai distratta.
Partire dal proprio io per entrare in sintonia col resto o – come lei stessa afferma nella sezione finale del libro (la cui stesura risale già al 1997) – uscire dalla realtà per crearne una nuova cosicché l’esistenza non sia l’unico luogo del possibile, spinge a essere critici, a uno scetticismo tutt’altro che sterile, ma incline all’apertura e al superamento di tutto quanto è già noto e preconfezionato. Si tratta dell’atteggiamento verso quel “dopo di te” che talvolta paralizza tutti. Scrive in uno dei componimenti: “non è andata così non si muore per troppa bellezza/ quella resta attaccata alla vita/ come il ridere infinito del mare -/ la morte non la può staccare”. Visione, dunque, non pre-visione o veggenza, ma un occhio ampio verso tutto. A questo volge la poesia.
Non ci è dato sapere se il suo modo di essere – e di scrivere – comporti fatica o piuttosto conforto, o come l’inclinazione innata ma anche coltivata ad accogliere la pluralità influisca sul modo di stare nell’oggi. Di certo, essere vivi al mondo è almeno provare a raccogliere i frutti di una vita piena, trascorsa nella sinestetica relazione con le cose, unico dono fatto non solo al poeta ma a chiunque sia veramente capace di rimanere all’erta.
Chiudo, facendo di nuovo riferimento al rapporto tra Daniela Attanasio e Amelia Rosselli. A lei e alla casa romana di Via del Corallo, dove ha vissuto gli ultimi anni, è dedicata una testimonianza malinconica e affettuosa. Attorno alla tragedia familiare, frammento doloroso che ne ha condizionato il quotidiano, l’autrice nata a Parigi costruisce l’idea del mondo così come l’idea di scrittura, nella quale il linguaggio – acceso e lirico – mette in secondo piano la comunicazione in quanto tale. Racconta Attanasio che, al fotografo impegnato a ritrarla appoggiata a una staccionata di recinzione sulla quale, a causa di una folata di vento, era rimasta impigliata una busta di plastica azzurra, Amelia impedì di spostarla dicendo: “ma perché? È così bella!”. Attanasio solo dopo la scomparsa dell’amica ripensa all’episodio e lo riconduce alla infanzia privatissima nella quale lei sempre si rifugiava, quasi a difendersi dalla violenza che sentiva premere dall’esterno. Una pari sensibilità accomuna le due donne, la medesima tensione al significato autentico dell’esistere del quale non deve sfuggire nessun particolare. Il loro legame non è casuale e Vivi al mondo è anche un omaggio alla loro comune necessità di fare di quel che c’è e di ciò che sembra non esserci poesia.
Daniela Attanasio, nata a Roma, ha pubblicato per l’editrice Empirìa i libri di poesia La cura delle cose (1994), Sotto il sole (1999 Premio Dario Bellezza, Premio Unione Lettori Italiani), Del mio e dell’altrui amore(2005 Premio Camaiore). Il breve poema sull’amore contenuto nel libro è stato musicato nel 2004 e rappresentato in alcune manifestazioni teatrali. Le tre successive raccolte sono state pubblicate con l’editrice Nino Aragno: Il ritorno all’isola (2010 Premio Sandro Penna), Di questo mondo (2013 Premio della Giuria Viareggio-Rèpaci), Vicino e visibile 2017. Ha tradotto Love Poems di Anne Sexton per il volume antologico La doppia immagine (Editore Sciascia) e per la rivista «Galleria» ha curato un numero antologico su Amelia Rosselli. Come critica ha collaborato per alcuni anni con la rivista letteraria «Leggere» (Editrice Archinto) e con il quotidiano «Il Manifesto». Sue poesie sono presenti in numerose antologie fra cui Poesia italiana 1970/2000 (Garzanti), Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi).

