Frammenti di un’estate futura – Senza neanche chiederti se hai avuto l’orgasmo

Di Francesco Marangi

 

Nei frammenti precedenti…


#Frammento18

L. è entrato e io sono andata in bagno; gli ho detto di aspettarmi in salotto. Il gioco è appena cominciato, lo sento muoversi avanti e indietro, forse ha già il cazzo fra le mani, mi piace provocarlo, lo so che appena mi vede pensa al mio culo, piegato a novanta davanti alla sua faccia. Lo so che già pensa a mettermelo dentro, non c’è niente di male, mi fa piacere così; non è uno di quelli che ti prende in giro, un bugiardo, uno di quelli che ti promettono amore eterno, e poi una volta che hanno sborrato ti lasciano lì, con le gambe per aria, senza neanche chiederti se hai avuto l’orgasmo, o se volevi più veloce o più piano; gli infami, la maggior parte, non parlano, scopano muti; agli uomini bisogna guardargli la bocca per capire se sono sinceri. Da come si muove la bocca puoi capire quasi tutto di uomo, anche se fidarti o meno. È la bocca il vero cuore di uomo. Batte labbro su labbro in respiri di paura, in contrazioni di stupore, in palpitazioni di angoscia e versi di poesie solo immaginate. L. bussa al bagno, io apro l’acqua gli urlo che sto facendo la doccia; fra me e me rido. L. mi dice posso entrare? e io gli rispondo di no. L. prova ad abbassare la maniglia ma io ho chiuso a chiave. L. dice ma dai, poi lo sento camminare, sedersi, riprendere a camminare. Mi dice eri carina da bambina; e io gli dico perché adesso non lo sono più? L. non risponde. Io vado verso la porta, rimango in ascolto, probabilmente si sta masturbando sulle mie foto d’infanzia, il porco. Mi piace questo suo lato torbido. L. lo dice, mi dice mi sto masturbando, ma senza specificare su quale supporto, se video o fotografico; magari mi immagina nuda nella vasca, magari fra i due quella torbida sono io. Magari L. è seduto innocentemente sulla poltrona e si guarda qualche reel su Instagram, ore è preso da quelle robe sulla Palestina. Comunque io giro la chiave nella toppa, di modo che lui possa accorgersi che non è più chiusa, volendo può aprirla adesso. L. non ha nessuna reazione, per il momento rimane in silenzio. Mi butto nella vasca. Qualche secondo dopo la maniglia si abbassa, L. fa capolino spuntando con un occhio dalla porta; mi chiede se può entrare e io non gli rispondo. Mi chiede se può entrare e io gli dico se proprio devi. Poverino, mi piace farlo sentire in colpa quando è eccitato, mi piace che colleghi il piacere alla colpa e al castigo, mi piace saperlo sottomesso, almeno fino a quando non mi avrà girato a pancia in su, e messo le mie gambe sulle sue spalle; non so come si chiami la posizione, nel kamasutra di certo la illustrano, il suo cazzo arriva profondo; dopo la pecorina è la posizione che preferisco, forse si chiama carriola ma non sono sicura.


#Frammento19

Il mio corpo è mio, il suo corpo è suo, il corpo di L. intendo, il mio corpo è il mio corpo e il corpo di L. è il corpo di L., sono due corpi distinti, logicamente parlando, filosoficamente parlando, è tutta una questione di bordi, di strati di pelle, di fluidi che scorrono, di cazzi che si rizzano e fiche che si bagnano, è tutta una questione di bave e salive e succhi gastrici, è tutta una questione di bestie che ululano e scimmie che si grattano le ascelle e la testa, scimmie che si grattano a vicenda in cerca di pidocchi e zecche e altri parassiti. La questione è la seguente: io e L. siamo due corpi distinti, eppure, contro ogni previsione, riusciamo a unirci ogni giorno per ore e ore anche cinque o sei scopate alla volta, anche tre o quattro orgasmi alla volta, ci succhiamo a vicenda, ci lecchiamo, ci baciamo; è tutta una questione di capezzoli e spine dorsali e spalle e colli e capelli tirati, è tutta una questione di sacro e profano, di sacra unione, di sacro sesso e buchi di culo, di sacre scritture e sacra immaginazione e sacre risa; perché più ci uniamo e più gioiamo, più gioiamo e più gli orgasmi sono veri, più gli orgasmi sono veri più ci avviciniamo a Dio padre, e più uccidiamo quello stesso Dio padre, io e L. insieme, io e il suo cazzo, la mia bocca e i suoi testicoli, il suo sperma lungo i bordi delle mie cosce, quegli stessi bordi, epidermide per intenderci, quegli stessi bordi che ci dividono, che ci distinguono, e allo stesso tempo ci accomunano, ci rendono una cosa sola, quando strisciamo l’uno contro l’altro, lui bagnato e io bagnata, sudatissimi e felici, sudatissimi e pronti a morire e finalmente vedere il Paradiso, i prati e i giardini e quelle altre cazzate, i prati e i boschi, gli dei e gli angeli, i padroni e gli schiavi, quelli buoni e bravi, quelli che non sono finiti all’Inferno. Io e L. siamo gente da Paradiso o da Inferno? Siamo padroni o schiavi? Fra i due chi è padrone e chi è schiavo? Io e L. che preghiamo inginocchiati sul pavimento, rivolti alla Mecca, rivolti al sole nascente, più lontano, oltre la catena dell’Himalaya, lungo le sponde colorate di porpora del Gange, verso i templi bianchi e le cupole dorate, fino alla muraglia cinese, sopra i grattaceli di Pechino e di Hong Kong, camminando fra i ciliegi in fiore in qualche piccolo villaggio dell’Hokkaido. Io e L. che semplicemente galleggiamo nel vuoto cosmico, nella cosmica coscienza della nostra fine. E poi L. si stacca e accende una sigaretta e si lascia cadere seduto sulla poltrona, o seduto sull’erba, o seduto sulla sabbia umida; L. non parla, fuma, guarda un cielo o un soffitto o le fronde degli alberi che disegnano ombre sul suo viso. L. non mi guarda neanche, è venuto, deve riprendersi un attimo, trattiene un po’ il fiato, capisce che non siamo ancora riusciti a fuggire, che siamo ancora noi stessi, io col mio corpo, lui col suo corpo, due esseri distinti, sdraiati, sicuramente schiavi, entrambi, schiavi l’uno dell’altro. E questo L. non vuole accettarlo.

 

 


In copertina: collage by Riccardo Bettazzoni


 

Una replica a “Frammenti di un’estate futura – Senza neanche chiederti se hai avuto l’orgasmo”

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