Frammenti di un’estate futura – Per me sei uno specchio

Di Francesco Marangi

 

Nei frammenti precedenti…


#Frammento14

Siamo seduti sul divano, ci raccontiamo quello che è successo in giornata, ogni tanto io e mia madre parliamo, lei mi dice che ha aperto le tende fuori in terrazza, un pipistrello le è volato in testa, è il pipistrello che nella nostra tenda da esterni ha fatto la tana; lo troviamo lì ogni estate, non si muove, mia madre diceva per scherzo che aveva quasi preso a volergli bene, ma adesso quel bene si è spento, sulla faccia non mi può volare, ha detto mia madre, domani vado a prendere qualcosa per cacciarlo via. Siamo seduti sul divano io e mia madre, cerchiamo un film da guardare per passare la serata, non ho voglia di uscire, non mi va di parlare con la gente, vedere facce conosciute. Sono seduto e canto, sono seduto e canto con mia madre, cantiamo una canzone, forse una ninnananna, forse una canzone di Alicia Keys, quella canzone che ascoltavamo in macchina, quando da piccolo la accompagnavo a fare la spesa, seduto sul sedile di dietro. Ricordo la sua nuca, ricordo le sue mani sul volante, ricordo che mi accarezzava le gambe dicendo tra poco andiamo a casa. Siamo seduti sul divano io e mia madre, mangiamo un gelato, un cono o il Maxibon? Bisogna vedere cosa ci va di fare, mangiamo e parliamo o mangiamo e guardiamo la tv?, il suo fidanzato stasera non c’è, siamo solo io e te mamma, possiamo se vuoi chiacchierare fino all’alba, con te parlerei notte e giorno se non fosse che mi sento così lontano, come fossi su un altro mondo, come fossi ormai partito da tempo e non riuscissi più a tornare. Tornerò prima o poi. Intanto si sente il temporale, batte le dita di pioggia sulle ringhiere, stride scoppia. Le colline sono nere. Il mantello nero della pioggia estiva, il mantello nero della pioggia calda, pioggia di terra e fango, pioggia di corpi abbandonati al sonno, soli e senza scopo. Siamo seduti sul divano mamma? Siamo ancora in dormiveglia, dalla tua bocca semiaperta esce un filo di bava; la testa appoggiata al cuscino del divano; l’avevi detto che eri stanca, si vedeva attorno agli occhi la tua fatica. Per me sei uno specchio, posso guardarti attraverso e trovare quello che sarò una volta morto, quello che sarò una volta rinato, nove mesi all’interno della tua pancia. Per me sei uno specchio, il riflesso di quello che sono, lo stesso corpo, la stessa luce nello sguardo. Ti dipingerò un universo attorno, qualcosa di incredibile, di raro, qualcosa che sia degno della tua grazia, quella gentilezza che usi nei confronti di tutti, quella modestia nello stare al mondo; già sono pronte le prime galassie, le vie lattee, più di una, bando all’avarizia; qualche pianeta piccolo qualche pianeta grande, certo anche qualche buco nero, qualche asteroide, qualche inizio e qualche fine; in nessun universo si può sperare di fuggire alla morte e all’orrore.
Siamo anche questo mamma, siamo morte e orrore, siamo bombe cadute, palme, palazzi in riva a un mare di sangue, un mare rosso, un mare mosso da grida e cadaveri senza voce.


#Frammento15

Guardatemi, il mio corpo ricorda la malinconia delle scogliere, mi lascio cadere come pioggia, mi lascio scivolare come lava, mi lascio calpestare, incidere, bucare, mi lascio coprire di boschi e conifere, fasce ulivate, pini morsi dalla salsedine, e poi, basta poco, si possono vedere villaggi in fiamme, coccodrilli e mangrovie, baobab, il mio corpo si abitua al calore della savana, alle albe del deserto, le mie pupille vibrano della grandezza di oceani ancora inesplorati, siamo su un nuovo mondo, qualcosa che ancora deve essere avvistato lungo la linea afosa dell’orizzonte, lungo il bordo striato delle colline vuote, delle chiese, dei cimiteri scavati nella roccia, dei muretti a secco coperti di muschio, lungo la linea dell’orizzonte, dove si spinge lo sguardo dei gabbiani vivi e dei gabbiani che moriranno, il nuovo mondo raccontato ai bambini, ai bambini buoni e a quelli cattivi, al sospiro dell’edera, al canto fermo delle bouganville che oscillano nella canicola, al mistero della bocca dei pesci, al terrore dei granchi raccolti con le chele rivolte al cielo, mi lascio ondeggiare in mulinelli, coperto da schiuma e teste di medusa e parole che si bruciano e si fondono fra loro come magma, come sperma lungo il bordo della mia bocca, e allora rido e canto, piango e canto, mi lascio andare al ritmo, divento un suono una chiave di violino o di basso, mi dissolvo fra parole che non scrivo e mai scriverò, mi dissolvo come polvere, rovine e macerie di un regno ormai scomparso, perché qui, lungo la mia spina dorsale, è qui che coincidono passato e futuro, e del presente me ne frego, non vale più di uno sputo.

 


In copertina: photo by Gil Prates


 

2 risposte a “Frammenti di un’estate futura – Per me sei uno specchio”

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