Il brano che segue è stato concepito come monologo per l’edizione 2012 del ciclo La Confessione, ideato e diretto dal regista Walter Manfrè. Il ciclo prevedeva venti brevi monologhi, recitati da dieci uomini e dieci donne di fronte a un pubblico di altrettanti “confessori” di sesso opposto. Il testo, con minime variazioni, è andato in scena al Teatro Valle di Roma dal 3 al 6 maggio 2012.
Ecco, a voi posso dirlo. Del resto, anzi, posso dirlo solo a voi. Nessuno di voi mi tradirà. E comunque nessuno vi crederebbe.
In piena notte, immaginatelo. Un ticchettio. Costante, ogni ora. Un piccolo colpo leggero.
Il trucco è tutto nel polso: braccio fermo, colpo di frusta. Un piccolo colpo leggero. La nocca contro la parete. Toc.
Le prime volte fa un po’ male, ci vuole una certa – dedizione. Per non sentire il dolore, sapete. E quando fa molto freddo si può sbagliare: i tendini sono gelidi, l’osso è sensibile, basta sbagliare l’inclinazione del dito e ci si ritrova con un bel dolore sordo che risale per il braccio. Poi ci si abitua; dopo una notte passata a ticchettare noterete che si crea, vedete, un piccolo callo giusto sulla cima dell’osso. Si trova il punto giusto sulla parete, il punto più vuoto – è morbido sotto le dita, ma il suono viaggia, viaggia, e salendo rimbomba, signori, rimbomba. Guardate: basta fare così [mima il ticchettio]. Vedete?
Io posso sentirla. Riesco a vederla con gli occhi della testa, proprio qui [si sfiora la tempia]: è china sul pavimento, lo so, lo so come se la vedessi riflessa nel vetro di fronte; è china sul pavimento come un coniglio, in attesa. Aspetta il prossimo colpo. Cerca di capire cos’è.
Ci sono volte – ci sono volte in cui salto un turno. Salto un turno, signori: non ticchetto. E io so che lei sta aspettando. Non si dà pace, sapete? Lo so, riesco a vederla con gli occhi della testa, proprio qui [si sfiora ancora la tempia].
Chi potrebbe crederle? Che cosa potrebbe dire? Che sente un rumore, minimo – cupo – felpato – costante – attraverso le pareti che sale, sale, sale, e salendo rimbomba? E se anche le credessero, che cosa potrebbero fare? Arrestare le nocche della mia falange? Rinchiudermi? Per disturbo? Per disturbo di chi? Di una povera insonne – o che so io, potrebbe anche essere un uomo, ma io credo sia una donna, sapete? Lo credo, perché mi sembra di vederla, con gli occhi della testa, proprio qui [di nuovo le dita alla tempia].
Sarebbe bello sapere perché lo faccio. Del resto ci vuole – dedizione – l’ho già detto, mi pare; ci vuole dedizione anche per restare svegli ogni ora, ogni santissima ora della notte, e ticchettare – e allora perché, direte voi, se nemmeno sai com’è fatta, se l’unica cosa che sai è che quando sente quel rumore le orecchie le si tendono, e si accuccia sul pavimento, come un coniglio, e aspetta, e cerca di capire cos’è, e cosa può fare, e come può mai tornare a dormire, e quando tu non ticchetti lei è là che aspetta, che si chiede perché – voi chiederete: perché lo fai?
Voi non sapete cosa vuol dire. Non la sapete, questa potenza. Non lo sapete, questo potere. Cosa c’è di più naturale, di più innocente, del sonno? Cosa c’è di più necessario? Tutti dormono, tutti: dormono i tiranni, gli assassini, tutti dormono; ma lei non dormirà, finché non lo deciderò io.
Non so neanche chi sia. E questo potere, signori, questo potere è qui, tutto qui, in un piccolo colpo leggero.
© Giovanna Amato