Enzo Campi
Tra la vita e la morte alla luce di una stella

Poniamo che di notte
ci sia una stella
pronta a rischiarare il cammino
di un viandante
perso nel labirinto del discernimento,
intento
nel vagliare
se sia più giusto seguire
questo o quel sentiero,
là dove il primo
conduce alla tenebra
di una vita ingloriosa
e il secondo invece
alla luce di una morte gloriosa.
Poniamo che la stella,
in un eccesso d’umanità,
si conceda il lusso di rivolgersi
ad un comune mortale
e che gli racconti di come,
in una notte del passato,
un altro viandante,
allo stesso modo arrovellato,
si pose in postura desueta
proprio al centro di quel bivio
rimuginando sul da farsi.
Il viandante ascoltava
in silenzio religioso e si riversava,
di buon grado e con gran soddisfazione,
in quella voce, suadente e mansueta,
che gli svelava il segreto
per scegliere la giusta via da perseguire.
Fu così che la stella continuò
ricordandogli quell’altro viandante che,
in verità,
non si limitava al solo ascoltare,
bensì poneva quelle domande che,
nel suo intento,
avrebbero potuto risolvere
il suo stesso divenire,
sempre partendo dall’idea
che fosse solo una la strada da seguire.
Qui la stella
pose il primo ostacolo apostrofando,
con tono sommesso e delicato,
che il dire Uno quando si è di fronte al Due
non è certo una cosa
da prendere alla leggera,
che la complessità dell’idea
di una strada da seguire
non può essere svilita da una presunta unicità,
solo perché la comune ragione
vuole che sia l’Uno
a dettare le regole del cammino.
E il fatto
che la prima strada conduca alla vita
e la seconda, invece, alla morte
non significa
che la prima
sia più dignitosa della seconda
e che la morte sia,
in virtù di questo principio,
il rovesciamento della vita.
Fu così che il
viandante provò a fare una domanda:
ma, se la mia vita,
quella che finora mi sono illuso di vivere,
non è stata certo un gran diletto,
si pensi solo al costante dileggio
che si indirizza,
di solito,
verso quelli che vestono i panni del poeta
e che sotto la luna,
bevendo il vino e l’assenzio della disperazione,
si dilettano a disquisire
dell’eterna rotazione
di quel cosmo indefinito
e della circolarità del nostro cammino
che continuamente si morde la coda
ripartendo sempre dal principio,
se la mia vita,
dicevo,
è stata sempre quella di dover combattere
contro quella falsa umanità,
dal mattino fino a sera,
giorno dopo giorno,
per recuperare un tozzo di pane raffermo
con cui sfamare
l’impossibilità di essere vivo,
se la mia vita
si può definire infine vera vita,
allora,
io mi chiedo,
non sarà forse più dignitosa la morte?
La stella sorrise,
rincuorata
dal senno illuminato del viandante e,
rispondendo sempre in terza persona,
come per ripetere le stesse frasi
che aveva già detto al primo viandante,
nel caso si possano ancora aver dei dubbi
sul fatto
che la storia comunque si ripete
e ritorna sempre uguale
nell’insana, straziante pratica
di girare in eterno e in tondo,
continuò nel ricordare che,
in un’altra notte,
persa nell’eco del passato,
non uno
ma ben due viandanti
si posero dinanzi al bivio,
scontrandosi a vicenda
sull’idea che entrambe le strade
fossero da definire in eguale peso e misura
perché se in una ci si illudeva
di svilire la vita
per l’appunto vivendola,
nell’altra invece
ci si illudeva
di vanificare la morte
offrendosi come vittima sacrificale.
Il viandante
non poté esimersi dal ribattere:
che io sia una vittima
questo è indubbio,
vuoi solo per il fatto
che non c’è discernimento
nell’abusare del proprio potere
contro chi,
come me,
non ha armi con cui difendersi
se non quelle di indirizzare il proprio canto,
di notte,
alla luna
e di glorificare l’idea
di un pensiero e di un sentimento,
e per questo sono sì vittima,
ma solo nella vita
e non certo nella morte,
per cui mi sovviene un dubbio,
perché devo offrirmi in sacrificio alla morte
se sono già una vittima della vita?
La stella riconobbe,
in lui,
un certo talento
nel porre le domande giuste
e cominciò a sperare
in una pregnante risoluzione,
per cui continuò
nel racconto di una quarta notte,
ancor più remota,
definitivamente persa
nei meandri del ricordo,
quando i viandanti ovviamente erano tre,
ugualmente dibattuti dal fatto
che ambedue le strade,
nel bene e nel male,
potessero comunque condurre
all’idea di un’eternità,
perché,
se il senno è quello giusto,
ciò che conta
non è la risoluzione verso l’una,
che può sembrare lineare e diretta,
o verso l’altra,
che effettivamente
si crede curvilinea e contorta,
ma solo l’idea
che possa esistere la possibilità
di porsi il problema
e che la vera risoluzione
sia nel gioco
o nel giocarsi il gioco dell’attesa,
nel lasciarsi cullare
in quella sorta di limbo
e aspettare,
con pazienza,
che il tempo faccia il suo corso.
Il viandante inorridì
e alzò le mani al cielo:
vade retro,
io non credo
che sia questo l’approccio giusto.
S’incamminò quindi,
con passo spedito
e in assenza di criterio,
lungo la strada che pareva più luminosa
e che biforcava alla sua sinistra,
borbottando:
ma che storia è mai questa,
dopo trent’anni d’insani tormenti
non posso certo credere
che l’unica risoluzione
sia quella di fermarsi,
di notte,
in questo bivio desolato
e continuare a sperare
che un giorno qualcuno mi dica
“chissà che non sia proprio questo il tuo destino”.
E continuò,
con passo risoluto e sciolto,
a marcare la sua disillusione
sulla terra umida del sentiero che,
invero,
diventava sempre più oscuro,
tanto da impedire la visione
di ciò che si trovava
solo pochi metri più avanti.
Nell’inoltrarsi,
a più non posso,
in quella sorta di buio inquietante,
il viandante si scopriva
sempre più solo e abbandonato,
in uno spazio sempre più vuoto e indefinito
e che oramai perdeva consistenza
fin’anche nella stabilità del terreno
che si dissolveva,
lento ed inesorabile,
fino a sparire del tutto.
Cosicché il nostro viandante
si trovò a camminare
nel bel mezzo di un nulla
impalpabile e inquietante
e cominciò a chiedersi
fino a quando potesse durare
questo terribile e nuovo supplizio
apostrofando:
se ero solo nella vita
e se sono solo ancora adesso
in questo limbo
sospeso all’interno della vita,
forse era meglio esser solo
nell’anonimato di una folla brulicante
e magari indignata
che non l’esser solo,
adesso,
in questa sorta di nulla inconsistente.
E la stella,
sempre quella,
sempre sazia e sorridente,
continuava il suo racconto,
rivolgendosi ad un altro viandante che,
nel frattempo,
era sopraggiunto al bivio,
dicendo che dopo tanto filosofare
sulla possibilità
di un’impossibile comprensione
del disegno del destino
ci si rende conto che,
in verità,
il segreto era già svelato
fin dall’inizio del percorso:
la strada giusta è per l’appunto
solo una,
unica e indiscussa,
la strada giusta è sempre quella che,
in uno slancio di presunta presunzione,
si ritiene sia sbagliata.
Cosicché l’ultimo viandante
si sentì in dovere di fare una domanda:
io non ho nessuna riserva
nel credere
che la strada giusta
sia sempre e solo una,
ma se,
nel momento stesso in cui io mi orienti
verso questa o quella direzione,
la mia scelta sarà
comunque quella sbagliata,
ha dunque senso
che io sia qui a porre la domanda?
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