Giuseppe Vetromile, Il lato basso del quadrato, La Vita Felice, Milano 2017
Il lato basso del quadrato colpisce per la coerenza del dettato poetico con l’introduzione programmatica che l’autore, Giuseppe Vetromile, ha scritto come prefazione alla raccolta. Da tale continuità di intenti tra premesse teoriche e creazione poetica deriva una evidente organicità dell’insieme.
Sia nello snodarsi dei testi, infatti, sia nella composizione di ogni singola poesia vengono riaccostati e intrecciati frammenti di un cantico dell’io lirico, che si vede innanzitutto come creatura, al creato, con pause di riflessione, stupore e incanto evidenziate da spaziature all’interno del verso e tra un verso e l’altro.
Qualche volta il punto di accostamento, la ‘cucitura’, è più evidente, con qualche brusca intromissione di termini dal linguaggio colloquiale («putiferio»), ma resta ferma l’impressione di una poesia che sa coniugare il sentimento dei tempi e delle età dell’uomo con uno slancio – proprio dalla intenzionale visione dal basso, dal lato basso del quadrato, appunto – volto ad abbracciare l’universo.
Sentimento, incontri, slanci e memorie non sono scevri da una nozione del dolore che viene resa con metafore mutuate dal mondo dell’aritmetica, dell’algebra e della geometria (di «geometrie spurie» scrive l’autore), ma con la consapevolezza circa il divario tra le aspirazioni a misurare, a definire, a determinare da un lato e la resistenza tenace dell’incommensurabile dall’altro «: da una morte non si ricava l’equazione del cosmo».
È una testimonianza di inadeguatezza a una aspirazione che non si tramuta, tuttavia, in una amara o addirittura biliosa desolazione, bensì in un quieto ma continuo rilancio del tentativo, che si fa qui concreto gesto poetico.
© Anna Maria Curci
IL LATO BASSO DEL QUADRATO
La parte bassa del quadrato è un lato sottilissimo
umile inerte
e sta fermo dall’eternità della legge
a sorreggere le sorti della buona geometria
La parte bassa della vita è una sera che indugia a capoletto
senza mai più progredire in alba lucente
né ridiscendere più giù della notte stagnante
La parte bassa del quieto vivere è questo silenzio di voci
che più non reclamano spazi né montagne da scalare
né mari da solcare
La parte bassa di me è questa città nel mio ventre
recinta da indigesti gonfiori
che più non vanno
né su né giù
e soffocano in gola l’urlo del perbene
La mia è una parte qualsiasi del mondo che sta sempre in basso
rispetto all’esistere saccente e in vigore
di chi va deciso verso il cielo
Io guardingo mi recupero apotemi di versi
scritti sull’orlo inferiore del taccuino
nei dubbi mi comprendo di pochezze e mi trascino
come va va
sul lato basso del quadrato
di questa geometria spuria
per poter poi riconquistarmi
la parte alta
verticale diritta della vita