Cristina Bove, La simmetria del vuoto, Arcipelago itaca 2018
Ho scelto come inizio di questo mio discorrere attorno all’ultima raccolta di Cristina Bove qualche verso che possiamo trovare a pag. 14:
… starsene fermi/ su questo mondo che ci ruota attorno/perennemente in viaggio verso est/ e dirsi in versi/ forse nel tentativo di sottrarsi/ non solamente al male/ ma anche alla terribile bellezza/ che annichilisce e ammalia
perché mi sembra che il loro insieme ritrae abbastanza bene la posizione interiore di questa multiforme artista che spazia tra la poesia, il romanzo, la pittura e la scultura.
Dalla frequentazione di queste varie forme espressive l’idea che traspare dai versi e cioè che “la terra è un campo coltivato a sassi“ sia lo spunto dal quale ha di certo preso l’avvio tutto il suo lavoro poetico, e forse non solamente quello.
E quali saranno gli ausili espressivi per sondare quel ”campo coltivato a sassi”, dei quali essa si serve lungo il suo cammino artistico?
Alcuni li troviamo a pag. 15, nel finale della poesia:
… mi allontano _spossata_ /vestita solamente del mio dire/ ché preferisco tinte delicate/ se proprio devo esprimere un pensiero// […].
Appare chiaro che la fuga da quella realtà frustrante che la circonda e “annichilisce e ammalia“ la induce a rifiutare nella sua tavolozza linguistica le tinte forti perché come sa chi conosce anche un minimo di pittura, è facile nascondere, o meglio coprire, i “pentimenti“ del pittore usando colori accesi, ma ho la sensazione che l’autrice non abbia avuto pentimenti scrivendo, anche se predilige le tinte delicate, perché il suo dire è tutto celato dentro queste parole di pag. 24 “… ciò che nessuno vede per davvero/ è la prigione dove stagna il cuore“.
A volte sembra difficile accostarsi alla poesia come genere letterario a causa di una presunta difficoltà interpretativa, ma i due versi riportati poco sopra sono la sfida per eccellenza per coloro che amano connettersi con il sentimento fondante di ogni autore, che nel caso della Bove, è “ la prigione dove stagna il cuore“.
E dove e da cosa è imprigionato il cuore della nostra autrice?
Si può identificare questa prigione con qualcosa accaduto lontano, molto lontano nel tempo, che deve avere imprigionato il suo animo allora e per sempre.
Scrive a pag. 20: ”… il trenta agosto di tanti anni fa/ sembra passato da un solo minuto“. E’ evidente quanto questa data è stata fondamentale per lei, come un giorno di “morte/e/resurrezione“, per usare due termini di carattere religioso, e rintracciamo a pag. 83 il chiarimento essenziale per divaricare un poco quelle sbarre che le imprigionano il cuore: (altro…)