Mein Liebchen, was willst du noch mehr?
Fuggono dal muro le lancette.
L’ora assomiglia a uno scarafaggio.
Basta, perché spaccare i piatti,
far saltare i nervi e i bicchieri?
A questa dacia tutta legno
ben altre cose possono capitare.
La felicità è una cosa facile!
Non fasciamoci la testa prima che si rompa.
Potrebbe saettare un fulmine
e incendiare la cuccia umida.
Potrebbero scappare i cuccioli.
O un pallino di pioggia forare un’ala.
Il bosco non è altro che un salotto.
Il calore della luna sui pini – una stufa,
come grembiule steso al sole –
si asciuga una nuvola e fruscia.
E quando infuria sul pozzo
la bufera dell’angoscia, di sfuggita
elogia la tempesta le pareti domestiche.
Mia cara, che vuoi di più?
Un anno si è bruciato nel cherosene
come un moscerino sulla lanterna.
Eccolo, come un’alba grigio-azzurra,
si alza intriso di sonno, di intemperie.
Si mette alla finestra, arcuato,
vecchio, sconvolto di compassione.
Zuppo di lui rimane il guanciale,
sono i singhiozzi che vi ha affogato.
Come consolare tale decadenza?
O tu che vieni senza leggerezza,
in che modo placare la negletta
tristezza di un’estate desolata?
Gronda il bosco filamenti plumbei,
grigia e rabbuiata – la lappola,
mentre lui piange, quando risplendi tu!
Bella a giorno, bella di trepidazione!
Che avrai da lacrimare, vecchio zuccone?
Forse ne hai visti altri più felici?
Lì dove in campagna i girasoli
si smorzano – astri nella polvere e acquazzoni?