Se hai la voce che
pende
da un cappio
legato all’ugola, allora
la senti
mentre ti strozza
la gola,
cercando di rapire le parole
che inutilmente penzolano
sul nulla
dal palato.
Solo un grido
che parta dalle viscere
può
rompere il silenzio
di cristallo
e aprire le porte al suono del non
detto.
Però
intorno
si sentono solo
flatulenze semantiche
e qualche lontana
scorreggia.
Come girano mordendosi le code
uno con l’altro cappelli e pulci!
Sembra il circo della mia infanzia
quando mia madre mi teneva la mano
davanti ai pagliacci, Che paura!
Dopo si deliziava nel ruolo di mamma scimmia,
scrupolosa e intenta cercando uova viaggianti
sui nostri capelli lucidi e fluttuanti,
ancora legati al funambolo di scena!
Ed ora? come me tutti cresciuti
assisto al penoso girotondo
di grandi miseri della terra
che spostano corte e cortigiani altrove,
dove neanche la terra c’è più,
fragorosamente crollata nel potere del cemento!
Chi mai li ha voluti i loro banchetti sull’isola
liberata da armamenti e sfoggio di belligerante attesa!
Chi si è ingannato ed inganna nel rivendicare le ossa di fine pasto,
si accontenti ora di colonne infami che bucano il cielo a quadretti,
cemento e ferro, e sempre fame, immobili nel tempo,
al posto di secolari querce.
E continuano a mordersi la coda e le mani,
magari il ventre sempre colmo,
rivendicando possesso ancora,
tacendo sull’isola che di granito è fatta,
di vento e ginestre, di marea che avvicina e porta via!
I potenti si divorino pure,
gli indigeni compiono riti di ringraziamento agli dei dispettosi.
La Poesia Dorsale è un “esperimento” fotografico-letterario nato da una idea di Silvano Belloni (fotografie) e Antonella Ottolina (poesie). Ogni singola poesia è stata costruita utilizzando i titoli che appaiono sui dorsi di svariati libri, ognuno dei quali – messo l’uno sotto l’altro – rappresenta un verso. Una idea originale che emana bellezza. Ma, come si chiedono gli autori, “La bellezza salvera il mondo? Nel labirinto dell’ intelligenza la verita’ non serve a niente”.
Per fare tana
dentro me stessa
una me stessa di lan(i)ata
in corpo rata con milioni di altri
soli alla fermata
corrente nel rebus dell’insensata p(r)osa
– conosci nella vita te stesso. –
Ma quale? E dove mi cerco?
Me, me stesso? Lo cerco come un altro?
Steso tra l’inizio e ciò che non so ho
già in corpo la fine
una pneumatica algebra di respiri e
compilate azioni logiche di topo-
grafie di pazzi.
Pa(la)zzi per ronde manicomiali
esecrate gesta altergo
di un alter ego che si riformula in scopie del niente.
Niente è
ciò che viene
detto
è la parola so(g)l(i)a
una frantumazione di qualcosa che copre il corpo
che lo brucia in-cene-rendo
un pasto consumabile.
Giochi
pretesti
summe te-o
logie di post-azioni
referendum elettor(e)ali
di uno sperpero continuo
all’interno di un fallo che si erge a maestro.
Non c’è altro?
Delirio la caduta è
senza fine?
In utile l’ inizio?
P(r)osa dio?
E l’essere un grumo
di fum(m)o?
.
f.f.- 12 gennaio 2010
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