L’epopea di ‘Alam möröödöl ( स्वप्न חלום)
PARTE II
Julian Von Traume
o la nascita di Alam möröödöl
Julian Von Traume ebbe l’unica colpa di essersi ritrovato negli stessi luoghi in cui occorsero eventi le epidemie legate all’entità divoratrice conosciuta come Houta degli abissi. Appena nato, lo trovarono completamente rivestito di una sostanza traslucida, abbandonato in una pozza di elementi chimici spaiati.
L’ossido di silicio, (SiO2), il diossido di germanio, (GeO2), l’anidride borica (B2O3), l’anidride
fosforica (P2O5), l’anidride arsenica (As2O5): gli elementi che possono originare il vetro.
La famiglia e gli abitanti del suo villaggio giacevano sepolti sotto quella pellicola semi-trasparente e lui stesso sembrava non soltanto rivestito, ma appiccicato, e la sua pelle sembrava impressionare la luce come una dagherrotipo, tanto che dovettero sfilarlo dalle trame filamentose a cui era legato.
E così accadde anche durante la sua infanzia: interi orfanotrofi restavano come invischiati in queste bolle trasparenti, mentre i suoi occhi parevano registrare i volti orribili dei bambini come impronte, nel momento in cui essi sentivano il loro corpo sul punto di cristallizzarsi.
Per questo, in tutta Qiaokeli, si cominciò ad associare la comparsa di quel ragazzino, imbacuccato dentro un sacchetto o in un cappuccio nero, con uno strano paio di occhiali a bulbo, al cui interno, se li guardavi da vicino, era possibile vedere paesaggi lontani, incontri passati e poi carovane nel deserto, fabbriche dismesse, campi di sterminio, con il Mai Doukar Houta, il disseminatore di assenze, l’agente delle estinzioni che i popoli usavano immaginare proprio come un bambino avvinto nella pietra, in una ragnatela verminosa, che si sviluppava dalla superficie della sua testa.
Houta (Von Traume) cominciò ad indossare quella maschera per timore che i suoi poteri condizionassero i luoghi da lui visitati, perché lui stesso cominciò a credere quello che i popoli
credevano di lui. Von Traume aveva dei poteri, effettivamente: poteva vedere cose che gli altri non vedevano e far vedere quelle cose agli altri, poteva dar vita a queste impresenze, a questi… sogni! Sogni, nient’altro che sogni: Von Traum era un pellegrino sulla soglia del sogno: “morire”, pensava, “dormire… sognare, forse… ”, perché in quel sonno della morte quali sogni posson venire, quando noi ci siamo sbarazzati di questo groviglio mortale: è la remora, questa, che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti. E di quali sogni sarebbero potuti venire, in ogni modo, le tribù degli svegli avrebbero temuto le conseguenze, come infezioni della mente vigile, attenta, incentrata a produrre quante più concrete azioni in un arco di tempo determinato.
Le creature della luna profumano e girano intorno alle capanne.
Sveglia… la vita sogno non è, e l’iguana sarebbe venuta per mordere coloro i quali non sognano.
Sveglia.
Houta il fanciullo dei sogni per primo fu consapevole di non essere altro che un personaggio di un sogno, ma del sogno di qualcun altro. E qualcuno si sarebbe prima o poi accorto che la testa di Houta pulsava come quella di qualcun altro… il Darā’iga, ricolmo dei sogni del passato, brillava nella sua testa, come le lune in orbita di Sasāra.
E mentre la pece di nitrato ricopriva i villaggi e da Gaziram fino alle valli di Ohm tutti, quando
pensavano ad Houta, immaginavano il bambino di pietra, l’essere chemiautotrofo che si nutre
ossidando la chimica inorganica, l’ente preistorico che si alimenta nell’assenza, che persegue il
nulla, ramificato nella grotta di Athāha kuḍa Khālī, Houta raggiungeva le vette più alte di Ūn̄cā’ī, i monti che digradando si incastrano nel villaggio di Freu du Cantu, passava, piangendo senza pace, attraverso quella che sarebbe divenuta la galleria rocciosa di Hulm, il sentiero del sogno, dove le sue lacrime scorrevano ovunque, attraverso le sue mani, scendendo dalle sue spalle e poi fino alle insenature più strette e inavvicinabili della pietra di magnesio e delle masse più dense de In esse i sensi di Houta percepivano il sogno nascosto del nichel e del ferro: nelle muffe, negli agarici citrini e nelle colombine rossi, nei corsi d’acqua disidratati e nelle minuscole creature che in essi abitavano. E le sue lacrime erano mercurio, velluto d’argento, estratto dalle sue palpebre e connesso come una ragnatela di cui Houta non era più che un punto nodale tra infiniti altri punti. E come lui, ogni cosa non era che un punto e tutta la rete allo stesso tempo.
Un sogno che era sempre già nato, nacque ancora e invase le menti dei sopravvissuti. Le guance dei dormienti sentirono il fresco dell’erba bagnata e poi subito dopo la terra compatta, poi quella umida, più sotto; mentre gli occhi salivano al cielo ad osservarsi come stelle accese. E una voce si spandeva da uno dei punti disseminati ormai non più distinti dal resto della loro pelle: moltitudini fungine senza membrana che le separasse dall’esterno. Interni dissolti e moltiplicati senza prodotto esponenziale.
“Io sono स्वप्न ‘Alam möröödöl: il sogno. Alcuni mi conoscono come Von Traume, il bambino
perseguitato, altri come Houta, il demone-assenza; ebbene, io sono entrambi e nessuno, sono il sogno sotto i vostri passi, l’acqua e la terra, sono la sostanza delle vostre mani e del vostro respiro, la candela accesa su cui soffiate ogni giorno per guarire i vostri fratelli, contagiati dai vostri fratelli. Sono meno di niente, ma qualcosa di più: nessuno nessuno. O quel che resta del fuoco. O la spira di geni che si assottiglia sulla punta delle dita.
Nessuno, o sogno, o quel che freme nell’aria e tra le radici. Polvere e minerali, la goccia, ematite e grani di alogeno, fluoro e argento, spazzati sui vostri occhi. Nostri occhi.
Non ho incendiato i vostri villaggi, né portato via i vostri fratelli. Non ero che un bambino.
Eppure voi mi avete bendato e buttato più volte in angoli scuri, dividendo l’ortica dai ciclamini,
impedendomi di sognare senza distinzioni, separandomi dai miei fratelli e dai miei figli.
Non sogno da mille anni, da che non posso vedere: il cielo mi spazza contro acido picrico sugli
occhi e polvere nera.
Soltanto adesso torno a camminare e a volte sogno un fiore di gelso, di vitaliana o un cristallo di sabbia che vola, un fiume che si spalanca da una grotta inflitta nel cuneo roccioso più vertiginosamente alto. Ma non molto di più: vorrei, come si dice…dormire, morire…sognare
forse…
“Sul prato s’è persa una formica gigantesca, derelitta, e senza lume triste e affranta per l’andare, fra gli steli aggrovigliati, accorata sì parlò: miei piccini! Piangeranno? udranno singhiozzare? Guardan fuori per vedermi, poi rientrano, e mi piangono”. Mi commossi e piansi anch’io; ma una lucciola lì presso replicò: – Chi geme e invoca i guardiani della notte? Alla luce penso io, alla ronda il maggiolino: segui presto il suo ronzio, vagabondo, e dritto a casa – **. Morire… dormire …sognare forse”.
Di Danilo V Paris
- L’epopea di स्वप्न ‘Alam möröödöl, in Storia della malattia del secolo e memorie de La Grande Sparizione,di Eilaj hajin Iishara
- Le figure sono Darā’iga: spiriti scongelati di Moebius, Takehiko Inoue, Francis Bacon
(Midjourney Inc;) - **William Blake, Canti dell’Innocenza