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L’epopea di ‘Alam möröödöl ( स्वप्न חלום) Parte I (di Danilo V Paris)

L’epopea di ‘Alam möröödöl ( स्वप्न חלום)

PARTE I

Premesse dell’archeologo delle tracce Dhōrani, sulle funzioni del
Darā’iga

રણ ఎడారి Raṇa Eḍāri, Venticinquesimo secolo

Ho continuato le ricerche sui resti del deserto delle mappe, il Raṇa Eḍāri: dove le mappe si
scuciono, ci sono rientranze in cui ho potuto infilare le mani e cunicoli anche abbastanza profondi.
Ho scavato per allargare l’imboccatura e mi ci sono infilato dentro, sono arrivato fino in fondo e
dietro un tumulo più spesso di terra e detriti posticci, ho trovato una nicchia, al cui interno sono
custoditi i cosiddetti Darā’iga: “fonti di latenza Mhyr, da cui le immagini proliferano, sintetizzando i passati non attualizzati in una nuova unità che riassume le virtualità in un’ attualità disparente”, come si legge in Storie della caduta di Qiaokeli, Annali anonimi.
Questi “oggetti” presentavano però nuove configurazioni rispetto ai molti altri che avevo avuto
modo di analizzare: essi erano il prodotto di una funzione, esprimibile con l’equazione (∂ + m) ψ = 0 che postula che “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema”. Ho tradotto la funzione con il nome di *nyampur * o “miscela di Dirac” : essa inaugura la possibilità di trovare *somiglianze di famiglia narrative* o i *rapporti di parentela tra immaginari* delle fonti dell’eco del passato, cioè tra due Darā’iga interagenti.
Questo accade soprattutto se il Darā’iga originario includeva una precisa simbologia ed una geofilosofia o un personaggio-concettuale specifico, che gli consentisse di instaurare una specie di *oracolo visuale* delle mitologie.
Nella prima nicchia, tradussi la mescolanza con la parola Jōṛa: ipotizzo che mescolando le
immagini del territorio *Thyr’Fus*, dove i míč m’yac, le essenze latenti non ancora attualizzate
che si levano in viaggio sbollendo nell’eco, con il sentiero del Mitpu, *le rotte Janma delle nascite dei raccoglitori Balya*, i guerrieri incaricati di scortare “quelli che alla morte sfuggirono morendo nel possibile” fin su a Moanne, l’approdo delle lune latenti, avvenisse una coesione che congiungeva i due territori in una nuova unità paesaggistica: gli altipiani di Jōṛa o *della
congiunzione *, per l’appunto.

Questo nuovo territorio delle congiunzioni, *altipiani di Jōṛa*, poteva poi fondersi con
l’immaginario del Raṇa Eḍāri stesso, che comprendeva al suo interno la figura di Stasis-Sasara, la prima nata, L’immota Oltre, proprio nell’atto di contemplare un Darā’iga.
È una eco che non ho potuto raccogliere, perché mi pare che io stesso, osservando questo nyampur, che trovai imboccando un buco tra le vie tracciate di K’Avarni e i nembi di Nefeloma, divenissi la fonte che stavo osservando. Śāmala, il nuovo nyampur-paesaggio, sembrava invece essere assimilato nel Raṇa Eḍāri, senza congiunzione: significa che quest’ultimo comprende, non è compreso. Il Śāmala è infatti “il luogo, lo spazio trascendentale di inclusività che accoglie nel suo seno tanto le realtà oggettuali quanto i soggetti per i quali gli oggetti divengono oggetti”.

Mentre mi perdevo in un sogno delle trasmigrazioni, in cui passavo dalla mente di Sasara ad essere il deserto stesso, una fuoriuscita di gas improvvisa aprì un foro sotto il Śāmala: precipitai nell’ombra e nel freddo di un inghiottitoio e caddi in una grossa caverna. Ero lì, dove l’assenza s’ingrossa nutrendosi di materia inorganica. Galāsa, il nyampur che mi stava di fronte, mi opprimeva inglobandomi, ma disponendomi quel che v’era fuori come attraverso uno specchio opaco, da cui era possibile distinguere le forme esterne, In questo caso non percepivo l’uno e il molteplice in me, ma una struttura da cui non potevo uscire: il nyampur miscelava le caverne dell’Athāha kuḍa Khālī al personaggio-concettuale Reza le-ci-git.
Lo spazio in tal caso è un inglobante a cui viene impresso un moto di fuga: infatti, i Darā’iga delle grotte-luce sono create fondendo nelle steli in esse contenute un *attrattore di Lorenz*, a cui è associato il caos, la deriva progressivamente turbolenta di un sistema di flussi* e il concetto iconografico di *Francis Bacon, un pittore di 3 secoli fa, al cui nome è associato solitamente il cubo e la trasparenza e contemporaneamente *il getto d’acqua*, cioè il movimento-linea-di-fuga che buca la trasparenza; esso veniva miscelato con il Darā’iga Reza le ci-git, che è appunto il personaggio-concettuale delle cartografie della fuga e al contempo quello delle mappe considerate come descrizioni al cui interno si è implicati come oggetti matematizzati.


 

E mentre ero qui, ad appuntare nei miei nervi quello che non potevo scrivere, ad immaginare la fuga all’interno di uno spazio che non la prevedeva come possibilità, mentre i flussi giravano perdendo stabilità, mi sembrava di percorrere ogni volta un punto diverso del tempo, ripassando ogni volta per lo stesso punto. Il punto era però soltanto vicino all’origine, dal momento che i flussi descrivevano traiettorie di ripetizione apparente: il punto d’origine era ogni volta mancato.
La macchina disegnava una spirale che non si chiudeva, convergendo due sistemi instabili: al suo centro mi sembrava di scorgerlo, il punto 0 delle fasi. ERA AL SUO CENTRO, convergeva le
turbolenze nel suo cranio di bambino e… caddi… nel vortice della sua testa spalancata come una voragine inorganica come una rete neurale che si fosse srotolata estesamente in forme arborescenti.
Houta, l’ente preistorico delle estinzioni, era un bambino, un nyampur prodotto originatosi
da un bambino sacrificato alla grotta-luce chemiautotrofa: un bambino che divenne inorganico per nutrire quell’essere e che insieme generarono la creatura che si nutre delle
assenze. Sarabanāśa, il nyampur-estinzione era una mescolanza tra l’immagine di Houta il bambino e le caverne di cui prima, le Athāha kuḍa Khālī: scoprii che il bambino che sogna è segretamente in patria nel sistema di turbolenza. Lo scoprii divenendo uno dei nodi intrappolati nelle sue spirali. E io non ero che uno, tra molti, infiniti altri.

 

 

Continua…

Di Danilo V Paris

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