Sui tetti della città dimentico
il bisogno d’amare
ciò che scorgo ma non posso
disporre nel mio immaginario:
le cose mute le lascio tornare
al loro anonimato – di chiese
e statue.
L’aurora mi precede –
delle volte indifferente
si desta senza avvisare.
*
Si fa giorno come si fa sera –
In deroga alla sofferenza.
*
Ti immagino
dietro una porta –
ogni valico
lo lascio tracciato
così che tu possa
aspettarmi.
Gli uffici sono dei musei:
scrivanie, poltrone, secchi,
tastiere, penne, elenchi,
ritratti di famiglia,
piante da interni –
un ombrello chiuso.
L’altrove perduto
in una bottiglia di vetro
vuota.
Nello svuotatasche
fedi mai indossate –
epiteti e trame
tra le chiavi mai infilate
nella toppa.
*
L’attesa è una voliera:
imito il verso –
incapace di eludere
la cattura.
Potrai credere sia stato un sogno,
era Dio col quale parlavi al banco,
un riflesso o l’eco, carta di gelato,
la coda o il principio di un motivo.
Resta un relitto azzurro – nel cielo
grigio chiaro.
Per sempre lasciamo andare
quelli che ci somigliano
come il sole si confonde
tra l’ascesa e il declino
esso stesso nel meriggio
sosta verticale e inizia
la discesa nella notte.
Troppo somiglianti
noi andiamo nell’altrove.
Chiedo casa dove alberghi
e uno spazio occupa
la nostra concentrazione.
Non siamo nello stesso
esistere – un corpo solo
e lo spirito dilaniato.
Una replica a “Flavia Tomassini, Inediti 2021”
L’ha ripubblicato su .
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