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Visionarietà di Nightwater. Rileggendo Marosia Castaldi a un anno dalla sua morte (di E. Pisani)

Visionarietà di Nightwater. Rileggendo Marosia Castaldi a un anno dalla sua morte
di Edoardo Pisani

E io che credevo di essere morta
di essere morta di essere morta.
Marosia Castaldi, Che chiamiamo anima

 

Marosia Castaldi è morta quasi un anno fa. Nel mondo letterario se ne sono accorti e l’hanno ricordata in pochi, a riprova del fatto che i grandi artisti e scrittori sono tanto più grandi e unici e irripetibili quanto più sono soli, isolati dai gruppi, dagli altri – che artisti non sono. Marosia Castaldi non seguiva mode, non parlava di letteratura civile nei convegni, non si svendeva alla politica politicante né ai giornali, non aveva (e non ha) neppure una pagina di Wikipedia. Marosia Castaldi scriveva dei romanzi struggenti e visionari, linguisticamente rivoluzionari, fra i quali Che chiamiamo anima e Dava fine alla tremenda notte e soprattutto Dentro le mie mani le tue. Tetralogia di Nightwater, che è forse la sua opera maggiore, più sconvolgente e più matura, edita nel 2007 per i tipi di Feltrinelli.
Alcuni libri ci ossessionano prima ancora che abbiamo finito di leggerli. Per molto tempo non sono riuscito a cominciare Dentro le mie mani le tue, limitandomi a sfogliarne le pagine a caso, aprendolo a metà, all’inizio, nel finale, naufragando fra i suoi splendidi paragrafi, quasi si trattasse di un libro di poesia e non di un romanzo, una raccolta di versi e non una semplice o complessa o impossibile narrazione. La prosa di Marosia Castaldi è infatti ipnotica e poetica, con una forza visionaria altissima, che non ha eguali nella narrativa italiana e che si avvicina piuttosto alla poesia, che rivoluziona la punteggiatura e il ritmo e il fraseggiare e può essere raffrontata, per esempio, a La libellula di Amelia Rosselli o ad alcuni brani di Dino Campana.
Dentro le mie mani le tue è un romanzo polifonico, che racconta di Maria Berganza e di Amelie e della bambola di pezza e della stessa Marosia Castaldi e del quartiere di Nightwater; è la storia di infinite nascite e morti, di madri e figlie che diverranno a loro volta madri di altre figlie che saranno madri anch’esse di altre figlie e che vivendo e morendo e scrivendosi e estenuandosi e succedendosi rivoluzioneranno il tempo, il romanzo. È molto difficile riassumere la trama di Dentro le mie mani le tue, che ha il suo incanto nello stile e nel linguaggio più che nella storia, nella scansione più o meno succedanea dei pochi fatti narrati, che pure c’è, che pure, superate le resistenze iniziali, intrapresa finalmente la lettura lineare dei primi capitoli, avvolge e incanta e guida il lettore fra visioni e nebbie e fuochi e paesaggi desolati e nascite e morti e voci e personaggi indimenticabili, a cominciare dall’io narrante, cioè, nella prima parte, da Maria Berganza o, nella seconda parte, da Amelie, o, nella terza parte (l’unica in terza persona), dalla bambola di pezza, o infine, nella quarta e ultima parte, dalla scrittrice, ovvero dalla stessa Marosia Castaldi, madre di Lidia e Giulia e figlia di Fortuna Castaldi, che non è altri che Maria Berganza – e le narrazioni, gli io, le madri e le figlie e le loro mani racchiuse le une nelle altre, si ravvolgono e si dipanano nella scrittura, nel magnifico e inquietante e attorniante raccontare di Marosia Castaldi. Dentro le mie mani le tue è un grande romanzo familiare, di allucinazioni e incanti, un’opera moderna e visionaria che frantuma il tempo e affronta la morte e che a tratti può essere avvicinabile a L’urlo e il furore o a Mentre morivo di William Faulkner. Ci vorranno molti anni prima che la letteratura italiana, fra infiniti romanzi-fotocopia più o meno indigesti e vendibili, più o meno venduti e letti e subito riediti e subito dimenticati, offra un romanzo altrettanto potente e vero quale Dentro le mie mani le tue, Tetralogia di Nightwater.
«Scrittrice raffinatissima, Marosia Castaldi persegue una serie di esperimenti sempre più alti» ha scritto Cesare Segre. Domenico Starnone invece ha composto una vera e propria preghiera di lettura, all’uscita di Dentro le mie mani le tue, nel 2007, invitando a leggere il nuovo romanzo di Marosia Castaldi perché «lasciarlo da solo a cercare lettori è uno sfregio alla fatica di scriverlo e, soprattutto, alla fatica di scrivere libri veri, con vero dolore e vera passione per la vita e vero orrore per il suo contrario». Dopo la morte di Marosia Castaldi, tuttavia, ne hanno parlato in pochi, come Antonella Cilento («Marosia se n’è andata in dolorosa libertà, senza asservimenti o compromessi»), in un silenzio pressoché totale delle pagine culturali italiane. Leggerla oggi, rileggerne i brani più potenti e poetici, è un atto d’amore e di resistenza per la vera lettura e la vera scrittura, e quindi per la letteratura più alta, che forse è la sola letteratura possibile. Marosia Castaldi è una scoperta che sconvolge i sensi di ogni lettore, che crea una nuova lingua, dei ritmi inediti e disturbanti che pure ci ammaliano, che pagina dopo pagina diventano nostri, il nostro parlare, il nostro sentire, il nostro immaginare. «Tu sai benissimo» scrive la narratrice di Dentro le mie mani le tue, rivolgendosi al lettore (che risponde, che è un’altra voce), «che il bianco della neve come il muro bianco del gioco che facevi da bambina significa la morte, ma può essere una morte morbida e leggera, non dura come pietra, può essere che morire non significhi sfondare un muro per entrare in una terra sconosciuta ma camminare su una strada innevata guardando il sole che si rifrange nei piccoli cristalli di ghiaccio dentro il suolo.» Così è morta Marosia Castaldi: nella via bianchissima e assolata (e talvolta oscura, nebbiosa) della sua opera, della sua inimitabile scrittura che a noi è data, donata, e che possiamo leggere e rileggere e consigliare sottovoce, come rivelando un segreto al minor numero di persone possibili, il segreto irrivelato dei suoi romanzi maggiori, da Per quante vite a Che chiamiamo anima a Dava fine alla tremenda notte a Dentro le mie mani le tue a La donna che aveva visioni; e che la terra, come la letteratura, come il ricordo dei libri che ha letto e scritto e delle madri e delle figlie che ha amato, le sia lieve.

© Edoardo Pisani

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