– Nie wieder Zensur in der Kunst –
Canta! Gemi! Canta!
Basterebbe questo verso per riassumere l’intera produzione poetica di Federico García Lorca. Due voci verbali potenti, imperative, che ricordano il labile confine fra il dolore e il gaudio.
La poesia di Lorca è una poesia di verità ma anche e soprattutto una poesia “umorale”, piena di quella bile, di quel sangue e di quegli elementi tanto cari a Ippocrate. Tutta la sua produzione, d’altra parte, è una cascata di versi che colano verso il basso, come una resina aggrappata a un tronco d’albero, che lenta scivola e inesorabilmente invischia.
Esponente della Generazione del ’27, Federico García Lorca è il poeta dell’amore vissuto, il poeta che consuma l’amore e dall’amore è consumato. Il tema è il classico di tutti i classici, non c’è turbamento amoroso che non abbia dato all’artista materiali, immagini e rime su cui lavorare e creare: dall’intenso Catullo, ai Capei d’oro a l’aura sparsi, ai tormenti di Gaspara Stampa, senza nulla omettere delle tempeste e dell’impeto dei romantici sino allo spleen di Baudelaire, l’amore in tutte le sue forme e le sue ferite è la Musa stessa della poesia.
L’amore ha meritato odi e oltraggi e quando non era puro spirito diveniva erotismo pulsante, ma a una condizione: purché sia esso vero. Sempre. Purché sanguini. Questo assioma sembra valere soprattutto per i versi di Lorca, che paiono scritti solo perché il loro autore ne ha accettato in prima persona la potenza e la condanna. Lorca “subisce” la forza della sua stessa vena poetica, annega in quell’inchiostro lubrico, è uno spasmo il suo impeto creativo, Lorca è la vittima sacrificale di tutte le sue crudeli metafore.La raccolta Sonetti dell’amore oscuro è un trionfo di liriche pubblicate postume che da sempre commuovono generazioni lontane e diverse fra loro, leggere diviene un duello di morsi e di gigli, qualcosa di immondo e di puro attraversa quei versi di perenne calore, di perenne bacio e perenne pena; senza per nulla involgarire o svilire l’amplesso fisico, né la necessità di darsi a un altro essere umano pur cantandone le crudeltà e i dispetti.
Eppure, Lorca non è il cantore del dolore e della disfatta, nulla di tutto questo; è piuttosto un cantore della passione, intesa nel suo senso più antico e complesso, ovvero pàthos, sofferenza che non è necessariamente condanna ma impulso, sentimento vivo, travaglio, qualcosa che in Lorca è anche libidine ed erotismo esplicito: monumento all’ardore e alla frenesia.
Siamo nei tumultuosi anni Trenta, c’erano le avanguardie artistiche, c’erano l’università e le prime amicizie importanti, fra le quali Salvator Dalì e c’era soprattutto La Barraca, il suo teatro popolare itinerante; di villaggio in villaggio Lorca portava in scena in maniera semplice e diretta il repertorio classico spagnolo e i suoi stessi componimenti vestito d’una tuta azzurra, sempre la stessa: rifiuto del divismo, ricerca dell’essenza la sua.
Tanti i progetti e gli ideali, ma la poesia rimase per García Lorca l’unico linguaggio possibile per esprimere l’amore che inesorabilmente si fa lacerata carne, l’amore che è carezza dopo un brindisi di cicuta, amore che ruberà sussurri e sussulti per poi fuggire nella notte oscura. Il poeta è solo, ma anche nelle notti di umide e fredde lenzuola il tormento e la sofferenza del cuore diventa sonetto: sublime e disperato atto apotropaico contro l’oblio.
La grande e generosa universalità della sua poesia è un dono d’arte e di natura, sì perché la natura è un altro elemento essenziale nei versi di Lorca, metafora privilegiata e immaginifica, sempre efficace, sempre pronta a nascondere uno spirito carezzevole ma pieno di veleni e spine «norma che muove insieme carne e astri»,[1] scrive lui stesso.
Ogni poetico dramma è un dramma che conserva anche l’ancestrale appartenenza dell’uomo alle fronde nomadi della natura, ogni malinconia ha qualcosa che ricorda un fiore oscuro, un miele velenoso, una luna glaciale e questo basta in eterno, lì c’è tutto ciò che un cuore cerca e che la poesia esprime: la bellezza, il sangue, il sospiro, il tormento… il piacere.
1 Federico García Lorca, L’amore dorme nel petto del poeta in Sonetti dell’amore oscuro, Einaudi 2018.
I sonetti dell’amore oscuro li ho incontrati all’Università, consigliati dal compianto Professor Melis, mio professore di Spagnolo. E sono sempre lì, tra i libri che amo. E che ogni spesso rileggo con piacere. Grazie di averne parlato così intensamente, Giulia.
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