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Le cose imperfette, Gianni Montieri

le cose imperfette

Dicono di come la luna in Sudamerica/ sia più bassa, pare la si possa toccare/ qualche volta devo averla vista;/ ieri sera ad Affori rimaneva sotto/ l’altezza dei palazzi in costruzione/ appena sotto l’esatto schieramento/ dei lampioni, era mezza e gialla/ stava lì, cosa a cui manca un pezzo. Le cose imperfette (LiberAria, 2019) è il terzo libro di poesie di Gianni Montieri e prosegue il percorso iniziato con Futuro semplice (2010) e continuato con Avremo cura (2014). Quel che impressiona dei libri di Montieri, a chi come il sottoscritto lo ha letto negli anni, è la strenua coerenza del suo dettato poetico e della sua cifra d’ispirazione, in cui la linearità del verso, l’apparente semplicità della lingua, frutto di sapienti scelte terminologiche, sono accompagnate dalla limpidezza ed esattezza dello sguardo. In questo percorso ogni libro è una variante sul tema, una diversa declinazione di un rapporto con la parole e con le cose dell’esistenza che è sempre caratterizzato da un aver cura, attraverso una pietas non comune della parola, verso la fragilità delle cose, delle persone, degli eventi gettati nel tempo, nella semplicità enigmatica del divenire, nella proiezione remota del futuro.
Cosa sono le cose imperfette? Cosa sono le cose? Cos’è l’imperfezione? Forse a queste domande è impossibile dare una risposta definitiva, o forse è inutile porsele e sicuramente i versi di Gianni Montieri sono già oltre questo dilemma, non perché non se lo siano posto, ma perché una possibile risposta può solo venire dall’immergersi della parola nel manifestarsi del mondo, nei suoi sprazzi di luce, in un dettaglio fuori posto, in un’attesa, in una distanza, o in un gesto routinario e quotidiano, che nel momento in cui viene colto si dilata in un’infinitesimale epifania, nella possibilità stessa della parola di dire gli eventi e i momenti dell’esistere. La peculiarità propria dello sguardo di Montieri è quella di cogliere la distanza – che è al tempo stesso lontananza e vicinanza – tra le cose, tra le persone, tra le situazioni e più che una cifra estetica è una vera e propria cifra etica, un senso del limite, della forma che assume ogni evento nel momento in cui viene percepito dallo sguardo del poeta e nel momento che diventa parola, giusta misura del dire. Se dovessi usare categorie di ascendenza greca potrei dire che il suo è uno sguardo apollineo, uno sguardo ispirato dal dio che colpisce da lontano, una messa a fuoco che è una messa a distanza per cogliere meglio i dettagli della vita. È come se nei testi di Montieri, le forze che li hanno generati, si potessero manifestare solo nel momento in cui le tensioni opposte, le forze centrifughe riescono a trovare un equilibrio quasi di natura architettonica. Ogni testo è una costruzione sapiente, ma mai gratuita o manieristica, in cui i vari elementi: ideativi, linguistici, fonici, retorici si tengono l’un l’altro in un incastro perfetto e irripetibile. Perché, a dispetto del titolo, la perfezione è possibile, nella costruzione della parola o anche solo nel momento in cui si riempie una borsa da viaggio. (Sta tutto quanto nel salire o scendere/ da un treno, nella penultima lettera/ del PNR, in migliaia di caffè bollenti/ da un sorso, la borsa perfetta riempita/ in due minuti, alla cieca). Forse l’intuizione maggiore di questo libro è che l’imperfezione del mondo, delle cose, della vita come dell’amore, del nostro stare al mondo, può dirsi, può esser detta solo se si raggiunge un punto di vista in cui la forma poetica tiene insieme se stessa e il mondo che dice, con uno sguardo al tempo stesso lucido e commosso, distaccato e partecipe, appassionato e ironico, senza che un elemento, nel complesso del libro, prevalga definitivamente sull’altro. In tale traiettoria sono da inserire i frequenti riferimenti alla letteratura contemporanea, essi nascono da un’autentica passione di lettore da parte dell’autore e dalla sua non comune abilità di critico e recensore, ma nel contesto del libro hanno una funzione retorica ben precisa, fungono da cassa di risonanza del dettato, a volte amplificandolo, altre volte raffreddandolo, in altre occasioni tali riferimenti hanno una funzione straniante e ironica, in altri casi sono il vero e proprio motore del testo (Stasera è Cormack McCarthy che viene/ a tendermi la mano, la stretta della prosa:/ – la maniera che conosco di pregare –).
Il libro si struttura in tre sezioni. La prima sezione, Lettere aperte al fronte sudamericano, formata da poesie-lettere rivolte alla donna amata, si manifesta come una fenomenologia della distanza, in cui ogni testo è un tassello che al tempo stesso mostra e lenisce un’assenza. La persona amata è tanto più presente nella sua assenza. La parola poetica dice i riti, domestici, laici, ma al tempo stesso intimi, e nella loro intima pudicizia alludono a una sacralità del gesto che rimanda a una sensazione o a uno stato d’animo provati e condivisi. In questa attenzione alla dimensione rituale dell’esistenza, la poesia di Montieri mostra la sua sacralità, in quanto il sacro è prima di tutto un luogo in cui si incontra il visibile con l’invisibile, un tempo in cui i gesti assumono una dimensione non più casuale, in cui si fa presente l’assenza, di cui sono emblema le cose, le persone, i libri che si stanno leggendo, i fantasmi che abitano ogni vita. Lo spazio e il tempo circoscritti dove si innalzano le nostre parole, il nostro invocare. Le nostre preghiere, e per Montieri pregare è leggere e scrivere, al tempo stesso coprono e santificano la distanza che rende ogni cosa degna di meraviglia nella sua imperfezione. Anche le notizie, la cronaca, la storia che accade dagli schermi o più raramente nelle strade, sono un modo per parlare del senso dell’esistere, sono eco delle domande irrisolte che abitano ognuno di noi, quelle che in alcune poesie assumono il nome di ‘morte’ e ‘nulla’.
E poi ci sono le persone, quelle rimaste come recita il titolo della seconda sezione, le altre, oltre la donna amata, le persone incontrate nella vita e nella letteratura, gli amici, i familiari. Le persone rimandano ai luoghi che abitano o che attraversano, agli attimi che si fanno largo nell’oblio della memoria, e, nella loro irripetibile individualità ci restituiscono qualcosa di noi che altrimenti avremmo perso. In questa galleria di visi e gesti, di sguardi e ombre Montieri ci restituisce dei versi di rara bellezza, come quelli della poesia dedicata alla sorella: Qualcuno mi ha detto che sei mia sorella/ e io gli credo ed è una vita che ti somiglio/ ma non perfettamente ché essere/ uguali non servirebbe a niente.
Nell’ultima sezione, Previsione di marea, prendendo spunto dall’alta marea che periodicamente colpisce Venezia, lo sguardo di Montieri si dilata oltre l’esistenza individuale, oltre i dettagli della vita di tutti i giorni, oltre gli stati d’animo ma, attraversandoli tutti, inscrive, con grande discrezione e apparente casualità, le nostre umane vicende in un ordine cosmico che le comprende e sovrasta e che periodicamente ci ricorda chi siamo, la nostra fragilità, il nostro stare provvisorio al mondo, ma anche la bellezza e la gioia del nostro procedere incerto. Forse di più è difficile chiedere alla vita. La marea non rispetta gli orari/ astronomici è scritto in piccolo/ in fondo al bollettino, prima dell’angoscia che verrà/ mi domando quali siano le ore/ da rispettare.

© Francesco Filia

3 risposte a “Le cose imperfette, Gianni Montieri”


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