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Caregiver Whisper 85

Mio padre Sebastiano è morto l'11 novembre 2016 per le conseguenze di un adenocarcinoma. A Lucia, mia madre, è stato diagnosticato nel 2014 il morbo di Alzheimer. Quando si è ammalato, mio padre ha iniziato a raccontarmi la sua vita mettendo, così, ordine anche tra le testimonianze confuse di mia madre. Lei ha disimparato cose elementari come vestirsi in modo corretto, lavarsi e mettere le cose in ordine. Io sono il suo caregiver. Come molti altri malati nelle sue condizioni, è spesso irascibile e aggressiva perché non ha più gli strumenti per decifrare cosa le succede intorno. In Caregiver Whisper racconto piccole storie di vita nella malattia, tra le mille difficoltà con cui mi sono dovuto misurare, il più delle volte da solo, e l'ironia che ci ha aiutato a non impazzire nei momenti più difficili. Questa rubrica è dedicata ai miei genitori, alle persone che mi sono state accanto in questo percorso e a chi si trova, come me, a guardare in faccia la realtà, cercando di elaborare un lutto che lutto ancora non è.


29 settembre 2019

Ieri notte Lucia si è svegliata spesso. A volte, nel silenzio più assoluto, la sentivi dire “oi mamma” – proprio come era solito fare mio padre quando lei lo tormentava. Poi tornava il silenzio. Io, nel buio, cercavo di capire cosa fare, se alzarmi e andare da lei o se fare finta di nulla e restare sotto le coperte. Altre volte, invece, iniziava a chiamare sua madre, me e altri nomi del tutto inventati. Due di questi nomi, che ho segnato in un promemoria, sono Ascencie e Engugie. Quando entravo in camera e le chiedevo se era tutto a posto, la risposta era un laconico “sì” oppure “è che qua tutto sta così”.
M: «Scusa, sta così come?»
L: «Non lo so.»
M: «E per saperlo a chi lo posso chiedere?»
L: «Non lo so.»
M: «Ma vuoi che resto qui anche io insieme a te?»
L: «No, vai pure a dorme.»
Poi, una volta tranquillizzata, ritornavo nel mio letto.

Quando un caregiver torna a letto dopo essere stato dal malato, difficilmente riprende subito a dormire. Passa sempre un po’ di tempo perché la mente si riaccende e inizia a pensare che è tutto tremendamente difficile e non c’è via d’uscita alcuna a questa sofferenza e a questa solitudine. Si resta con l’orecchio teso, cercando di capire se nell’altra stanza la persona di cui ci prendiamo cura ha ripreso a dormire o se ha ancora bisogno di essere tranquillizzata per qualcosa che c’è (o che forse manca) solo nella sua testa.

In uno dei sogni che ho fatto questa notte c’era anche mia nonna Carmela, la mamma di Lucia. Era seduta su una sedia accanto al mio letto e stava cucendo qualcosa. “Mia mamma faceva la sarta” insieme a “Io mi alzavo alle cinque per andare a lavorare, mica tu”, per molti mesi, sono stati i cavalli di battaglia che annunciavano i deliri di Lucia. Nel sogno Carmela era preoccupata perché qualcuno andava in giro a raccontare falsità sul mio conto, per mettermi in cattiva luce. Io, invece di preoccuparmene, anche nel sogno mi alzavo per andare a vedere se mia madre, nel suo letto, aveva bisogno di aiuto. È stato in quel momento che un nuovo “oi mamma” mi ha svegliato. Il caregiver, a volte, vive quello che sogna.

In tutto sono sceso per andare da mia madre nove volte. Non si tratta di un record, anzi, ma era da tanto che non passava una notte così agitata. Verso le sei e mezza ho deciso che mi era passata la voglia di restare a letto e così, visto che mia madre era già iperattiva, l’ho vestita per andare in cucina a fare colazione.

Il momento della vestizione spesso diventa una scena degna di un film muto di Charlie Chaplin. Infatti, mentre io cerco di vestirla, lei cerca di spogliarsi. Quando le metto la maglia, ad esempio, dice che quella che ho tra le mani è sua, che sua madre l’ha data a lei e io non la devo prendere se no si rovina. Così, mentre io le infilo il braccio sinistro (quello che muove a fatica), lei con il destro cerca di sfilarsi la maglia dal collo, perché questa maglia (ma, a dire il vero, qualunque altra maglia) non si deve rovinare.
L: «Ma si può sapere perché stai facendo quello che fai?», mi chiede a un certo punto contrariata. Così le dico che faccio quello che faccio perché siamo in ritardo e dobbiamo andare di corsa a zappare la terra.
M: «A dire il vero pensavo che mentre tu lavori io posso guardare se fai tutto giusto», aggiungo.
L: «Che bello», risponde prima di scoppiare a ridere.
Poi le metto le calze e un pantalone, facendo voci diverse che la fanno ridere e la distraggono da quello che sto cercando di fare.
L: «Vuoi mettere un po’ di questo?», chiede togliendo il lenzuolo dal letto.
M: «No, non serve, lascialo pure lì». Poi, visto che non si alza, le dico in dialetto che “mò, però t’è auzà“.
L: «Bravo, ora sto bene.»
M: «Eh, ma mò mi devi pagare.»
L: «Dopo ti pago.»
M: «See, vabbè. Dici sempre dopo ti pago e non lo fai mai. Ma come aggia fa’ cu’ te
L: «Guarda la signora come ride», replica mia madre guardandosi allo specchio.
M: «Eh, quella è come te. Mi sa che avrà anche il sedere grosso.»
L: «Mannaggia», dice mia madre mentre ridono entrambe.
M: «È luvero signò
L: «Hai visto, c’è anche il marito. Chissà da dove viene…», aggiunge indicando il mio riflesso nello specchio.
M: «Ma è bello il marito di quella lì?»
L: «Sì.»
M: «Ma è più bello di me?»
L: «Cosa gli devo dire a questo? Perché siete tutti belli.»
M: «Sì tu dici così…»
L: «Sì, così è». Poi mi guarda, sempre sorridendo, e chiede: «Ma come si chiama lei?»
M: «Lei io?»
L: «Eh.»
M: «Marco.»
L: «Oh, come mio figlio!»
M: «Esatto. Ma io sono più bello di tuo figlio, vero?»
L: «No, no.»
M: «Come no? E lo dici pure?», chiedo mentre mia madre ride anche nello specchio.
L: «Non lo so neanche perché lui va ando va a lavorare. Adesso lavora nel ste, non lo vedo neanche. Viene a volte liquore qua che prendono e allora stasera quando glielo vado dico. Senti tu non dirà dire che dici. E io dico tu te ne vai là lava lavi tu.»
Dopo aver finito questo discorso di cui non si capisce molto, Lucia ride. Poi, guarda l’altro signore nello specchio, si rigira verso di me, sorride, indica la mia pancia e dice: «Hai visto? Sei come il marito della signora.»
M: «Nel senso che gli somiglio?»
L: «No. Tenite tutt’e due la casa davanti

© Marco Annicchiarico

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