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Bustine di zucchero #14: Stéphane Mallarmé

In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza.
Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)

bustina chiara - Mallarmé

In uno scritto del 1862, intitolato Hérésies artistiques. L’art pour tous, Mallarmé difendeva la sacralità dell’arte poetica, già all’epoca sofferente «di una volgarizzazione e di una diffusione a buon mercato, di un’apparente e dannosa comprensione da parte di falsi ammiratori» (Ramacciotti). Ciascuna arte sacra (come la musica, la pittura, la scultura) è avviluppata di mistero, e questo vale in egual modo per la poesia. La riflessione dell’autore di Hérodiade rimase costante nel tempo, offrendo ulteriore conferma nel 1891 quando, in risposta a un’inchiesta sull’evoluzione letteraria, affermò che «nominare gli oggetti vuol dire sopprimere i tre quarti del godimento della poesia»; al contrario, suggerire l’oggetto, evocandolo, definisce l’uso perfetto del suo mistero, e tale uso è rappresentato dal simbolo. L’arte tutta è, quindi, simbolismo. I numi tutelari di Mallarmé furono Baudelaire e Poe; il primo fu importante per la sua formazione, col secondo trovò affinità riguardo al principio della parola poetica svincolata dalla finalità etica (Mallarmé, va ricordato, tradusse le poesie dello scrittore statunitense). Iniziatore del Simbolismo, egli coltivò l’ideale della poesia pura attraverso un linguaggio ermetico teso a comunicare «non l’essenza delle cose, ma l’essenza ideale delle nostre più fuggevoli fantasie», una poesia oscura, «ma ricca di lampi improvvisi di rara bellezza» (Bonfantini). Nel caso di Brezza marina non bisogna soffermarsi solo sull’idea esotica di salpare. Nei versi iniziali in cui leggiamo «Fuir! là-bas fuir!», fuggire occupa uno spazio simbolico. Il «desiderio inesplicabile che ci prende talvolta di lasciare i propri cari e partire», scrisse il poeta in una lettera, si proietta in una scrittura che fa da portolano, ma la scrittura stessa vuole essere partenza e insieme punto di approdo, centro e periferia di una parola fatta di “suono puro” al di là del suo significato originario. Talora l’angoscia di tracciare questa mappa si riflette sul foglio, nel timore del Nulla prende corpo la paura della pagina bianca da cui Mallarmé era ossessionato («non riusciva a produrre che molto poco», ha scritto Paul Valéry). Per il poeta francese – fautore di una poesia concepita come un rito capace di emanare bagliori di mistero – l’atto di segnare la pagina significava liberare la parola dal silenzio per divenire, per dirla con Baudelaire, un invito al viaggio e di conseguenza una destinazione verso l’assoluto.

Bibliografia in bustina
S. Mallarmé, Poesie e prose, Milano, Garzanti, 1992, p. 43 (Introduzione e note di V. Ramacciotti, traduzione di A. Guerrini e V. Ramacciotti).
S. Mallarmé, Hérésies artistiques. L’art pour tous, sulla rivista «L’Artiste», 15 settembre 1862, p. 127-128.
J. Huret, Enquête sur l’évolution littéraire, Bibliothèque-Charpentier, 1891, p. 55-65.
M. Bonfantini, Poesie di Mallarmé, voce tratta dal Dizionario delle opere e dei personaggi, vol. 7 (Pat-Q), Milano, Bompiani, 2005 p. 7183-7184

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