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Inediti di Julia Gianferri

 

Ho partorito lacrime in controluce
e i cerchi si sono slabbrati
gli uccelli sono rimasti fermi
a guardarmi
aspettando il tramonto
domani sarei stata madre.
Sono diventati corvi
mi hanno accerchiato
allora ho pianto
sono volati via
nessuno presenziò al tramonto.

 

Attraverserò quella che voi
definite fiamma.
Lascerò che la pelle
conosca la resa
lei sola conoscerà il perdono
e quel che mi merito
sconterà interdizione
non saprà chi seguire
chi adorare
se cenere o la cenere.

 

Rincorrere i tuoi passi.
Dimenticare sembianze.
Mentre ti parlo
la gente pasteggia ancora sui binari
sparecchiano spesso prima che passi il treno
solo per lasciarci incuriositi dai tavoli.

 

I morti hanno gli occhi vitrei per aver concluso l’opposto
spesso scelgono di dimenticarlo
in nome di una verità che sia di tutti
la rivelano all’orecchio nei momenti inopportuni;
di colpo tramandano la consistenza di un’iride
che non hanno mai visto e di cui tutti parlano.

 

Se in sogno m’appari
subito mi vien sonno
come a volermi calare
nell’imbuto di un frantumo.
Erano di vetro quegli anni
in cui ti ritrovavi intatta
adesso respiro in ogni angolo – divelto
adesso ricordo il giorno in cui mia madre è morta.

 

Farti diventare una cosa.
Fare il gioco del solito rimbalzo
da estremo a estremo;
dall’altra parte metterò
il tentativo, di smetterla
di raddoppiare il riflesso.
Ho preso un difetto –
l’ho sistemato
dans le maison de poupée.

 

Julia Gianferri è nata nel 1994. Studentessa di Lettere e Filosofia, sue poesie sono apparse su alcune importanti riviste letterarie.

5 risposte a “Inediti di Julia Gianferri”

  1. Contrastato il contrasto, per sempre, fra parola e vita che scardina e frantuma le cose. E le parole che giustamente l’esprimono, sono lì, liquide ed infangate come in una grande, estesissima iattura. Ma il tutto va avanti lo stesso e poco importa se il soggetto abbarbicato alla soggettiva, propria delusione,rimane, in fondo, sempre da solo. Conati di pianto sparsi qua e là a significare un qualche punto fermo per la delusa speranza del domani. Domani confuso con l’oggi o col passato indefinito, se non per spigoli puntuti, assassini della vita. E poi i passaggi ieratici e stregati di corvidi infidi, comunque presenti, da sopportare pur sparendo in fretta agli umori acidi delle sere. Lamenti, alti lai, infrenabili nel compenso del mattino, quando le cose dovrebbero essere più chiare, dunque ben parate per l’arredo, fiabesco, delle scene. Infine pietas, che vale una carezza, una carezza accoccolata a tangere un viso caro, nel ricordo d’un recente passato.

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