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Marco Ercolani, da “Nel fermo centro di polvere”

 

Lei tace, tu abbandoni le braccia.
Torna segreto, il sole.
Lettere ancora bianche, mai scritte, mai perdute.

Aprono i cancelli. Ma del vento nessuna traccia.
Soffierà, forse.
In cima alle pietre.

Buio agli occhi. Vertigine.
Naufraghi sul tavolo.

 

Torre alta. Parto da qui.
Il bianco che le onde lasciano alla notte
è schiuma viva, dove l’acqua evapora:
restano, sempre, le fitte d’ombra dei versi.

Io parlo da qui:
insperabile reale limpida
voce.
Respiro, ma ai miei giorni
manca qualcosa di terrestre e di dolce.

Il lavoro poetico?
Rigorosa dilapidazione.
Essere nel nulla e non salvarsi. Cancellare
le parole nel foglio vuoto.

Leggere le pagine di chi fu vivo
e guardare la bellezza del cielo:
ritardare il congedo dal mondo,
léggere, non
scrivere più,
smettere di ripararsi dal cielo.

Finalmente
non capire.

 

Le maschere della mente

Immobile durante il giorno a leggere e a pensare,
ma ogni notte, la testa sul cuscino,
le gambe ferme, a perdifiato
nella terra lucente per sognare,
nella terra sconosciuta, in cima ai torrenti,
fra i monti percossi dai venti,
correre,
con cose strane da guardare,
nessun incubo a potermi spaventare…

Ma poi svegliarsi
e inutile e lungo torna il giorno.
Impossibile trovare la terra non vista,
impossibile riascoltare il sogno:
muto alle parole adulte
diventare il bambino trasparente
che abita la stanza di niente,
fumo di parole
le maschere della mente.

 

Ostuni

Dove sono le pietre che l’occhio inventava fra viso e mondo,
la masseria tra gli ulivi, le mura circolari e in alto
l’abbagliante, bellissima Ostuni?

La ricordo e la cerco
mentre scrivo all’interno del foglio,
lettera sotto lettera:
sotterro le frasi
concentro lo spazio
attendo che si laceri
la mia invisibile, affilata parola.

 

Tornare e tacere

A chi mi chiede, scrollo la testa.
È un no a ogni domanda:
appena ricorderei
qualcosa come odissee e ciclopi,
uno spazio invaso da navi e acqua,
il mondo interrotto dal ritmo del navigare
fra cieli sotterranei.

Il segreto è tornare, e tacere.
Ciò che ha vibrato
tradurlo in brevi bisbigli e rinascere
in silenzio, la nebbia dissolta,
in una vaga fedeltà
di testimoni di nulla.

Marco Ercolani, Nel fermo centro di polvere. Introduzione di Antonio Devicienti e “Tre domande indiscrete” di Gabriela Fantato, Il Leggio 2018

La recensione di Dario Capello a Nel fermo centro di polvere  di Marco Ercolani è stata pubblicata su Poetarum Silva qui.

Una replica a “Marco Ercolani, da “Nel fermo centro di polvere””

  1. Marco Ercolani, Nel fermo centro di polvere, Poetarum Silva
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    Metafora di vita vissuta, oltre la lente dell’onirico, sempre e comunque ingabbiata e fustigata dall’alone del dubbiio quale ennesima, inesorabile presenza-assenza che nulla spiega e niente intende. Alla fine rimane l’ombra ondeggiante e sfuggente per una tessitura – dunque struttura – dai signficati plurimi per dimensione di senso. Misterioso il tentativo di superare, doppiare il limine delle parole per una possibile, intrinseca esplosione d’energia

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