
Lella De Marchi, Paesaggio con ossa, Arcipelago Itaca 2017
Da un incontro che l’autrice stessa definisce nell’introduzione, con le parole del famoso saggio di Freud, “perturbante”, sgorga il flusso di Paesaggio con ossa di Lella De Marchi. È l’incontro con Malina, o, per essere più precisi, la visione di Malina, «nuda e distesa nella roulotte», il punto dal quale si diramano le considerazioni che vanno a comporre un poema, il cui titolo, così come si manifesta fin dal primo componimento, altro non è se non la natura di questa visione: «Malina nuda e distesa nella roulotte è un immenso paesaggio/ con ossa, vita che vive senza ornamenti, vita che vive solo di sé.» Oltre il dato di fatto, vale a dire l’aver portato del cibo, nel contesto dello svolgimento di lavori socialmente utili, a una giovane tossicodipendente, dal corpo magrissimo e coperto di ecchimosi a causa di un recente stupro, ospitata temporaneamente in una roulotte, su “un giaciglio malsano”, si innalza e si modula la testimonianza di una contesa sfiancante e permanente tra bellezza e sfacelo, tra puro e turpe. Malina «sembrava la regina dolente di un regno invivibile», afferma Lella De Marchi nell’introduzione. Il poema che narra di questa regina e di questo regno, narra anche di chi ha visto e ne dà testimonianza.
Vivido e vuoto sono aggettivi che si alternano, si affiancano in questa visione rivelatrice e rinnovata, con esplicita allitterazione o con tacito richiamo. Vita nonostante il vuoto, la deprivazione di ogni ornamento, vita che vive di una bellezza che si afferma per contrasto, rovescio e capovolgimento di ogni orpello. Quel nome, Malina, giunge alle mie orecchie con un carico antico e un fascino sempre nuovo, dalla fiaba Jungfrau Maleen (La vergine Malvina), che apparve fin dall’edizione del 1850 delle Fiabe dei fratelli Grimm. Malvina è una principessa bellissima, punita per il suo amore e costretta, da una sentenza del proprio padre, tanto crudele quanto ingiusta, a trascorrere sette anni murata, nell’oscurità e con la sola compagnia di un’altra fanciulla, l’affezionata cameriera, nella stanza di una torre. Quando insieme all’amica – resistenza e tenacia si daranno il cambio per sostenersi vicendevolmente – riuscirà ad aprire una breccia nel muro e insieme, oltre le rovine del mondo in cui erano state murate, cercheranno e non troveranno accoglienza, si nutriranno di ortiche, diventeranno sguattere, gli stenti e le privazioni non avranno turbato la bellezza di Maleen/Malvina. Sia il suo silenzio, sia il suo canto distingueranno il suo cammino fino all’avventuroso incontro con l’amato. Paesaggio con ossa – il richiamo ai montaliani Ossi di seppia, come ricorda Caterina Davinio nella sua nota Il corpo come paesaggio, postfazione al libro, è una delle numerose e feconde suggestioni di questo libro – di Lella De Marchi, proprio come la fiaba riportata dai fratelli Grimm, ha l’incanto doloroso di un viaggio di scoperta che si nutre dell’incontro, dell’accadere del prodigioso, di ciò che suscita stupore e meraviglia. Davvero si ha l’impressione che l’io lirico, dal prologo menzionato in apertura, Malina distesa nella roulotte è svegliata da noi dal nostro, per tutte le quattro parti, Movimenti, Astuzie, Deliri, Gesti, che compongono il poema e precedono l’Appendice, si configuri progressivamente come quella compagna di sventure e avventure di Maleen/Malvina nella fiaba, dalla prigionia, agli stenti, alla testimonianza di una bellezza inusuale e misconosciuta, di una gloria calpestata, ma non annullata. (altro…)
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