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Sergio Pasquandrea, Un posto per la buona stagione

copertina

Sergio Pasquandrea, Un posto per la buona stagione, Qudulibri, 2016, € 10,00

 

LAZZARO

Bianco nell’acqua cupa dello specchio
livido ancora di un limo tenace di sogni
il mio volto era un groppo di tratti
non miei. La maschera
di me – stupefatta e feroce –
nel morso della veglia.

Il mio volto di Lazzaro
emerso anzitempo alla luce.

 

PORTA GENOVA

Sorpresa nell’innocenza.
Quasi scivola dalla panca
si guarda intorno con gli occhi incollati.
Lo schermo degli arrivi è un blu compatto
lancinante. La donna grassa
mastica ancora lo stesso boccone.
Scrosta il sogno dalle palpebre
ricompone il respiro.
Come è grigia Milano – pensa
o qualche altro pensiero inutile

mentre noi abbassiamo lo sguardo
disinfestiamo gli occhi.

 

RICORDARE

accentua le dissimmetrie
un po’ come indossare vecchi vestiti
provoca gonfiori
tensioni sdruciture

perché il corpo non ci appartiene

(e la mente nemmeno).

 

L’ULTIMO ISTANTE

Poi dissolti i legami chimici
irradiato nell’aria il sangue
resta la pena
lo stormo staccato dalla grondaia traccia
segni deride il senso
dovremmo riunire fino
alle più minute schegge
il fiore chino l’aria che si intorbida
la vena rotta la lingua
violata

ma nemmeno allora c’è scampo
l’ultimo istante dissemina
nuove generazioni.

 

TRINCEA

Ora che il buio è più compatto
pretende
braccia da ogni lato.
Ostaggi del suo grido impareremo
a districare le vene del grido.

(Anch’io comunque ne conosco di quei momenti
a volte i pomeriggi sono lì in agguato
le ombre rodono gli spigoli
o si affollano spalla a spalla tra gli stipiti).

Dovremo procurargli un tropico
un cerchio di risacche dove restare
per un po’ alla fonda
prima dello slancio della traversata solitaria.

 

MEMORANDUM

Ma ne avrete chissà quante di giornate
così le vene fanno groppo
tutto ciò che ancora non sapete
vi torce i muscoli
voi che avete così poco da opporre
verrà che io lo voglia o no
sciame sottile o parabola già svuotata del sasso

ma posso

consegnarvi il resto della sottrazione
c’è sempre un decimale è lì che inizia la crepa
nulla è più come prima nel bene
o nel male
come quando nei sogni scoprite
le vere abitudini.

 

MEMORANDUM N. 2

Cerchiamo – dicevo – un posto
per la buona stagione
perché non si sa mai da dove
osserveremo la prossima
è troppo poco lo spazio tra l’osso e l’erba
così facile amare quando la carne è carne

in fondo siamo passati tutti per le stesse strade
fermandoci molto prima del non-ritorno.

E poi si sa che la primavera incide
il cielo fra i tetti
difficile è farsi trovare pronti non c’è inverno
che tenga non c’è pensiero
che duri più di un abbraccio

sei così bella che non ho più voglia di sognare.

 

DE CONSOLATIONE

Tu mi dicevi che ognuno di noi
è il caso particolare di un destino anonimo
un exemplum della speciazione

io rispondevo che la vita in fondo
è un serbatoio di metafore inerti
e che esistiamo solo quando lo diciamo

ma entrambi sapevamo di essere innamorati
che l’amore neutralizza i plurali
i nomina universalia

e che la vita è più importante della morte
perché è più breve.

 

© Sergio Pasquandrea

 

 

 

6 risposte a “Sergio Pasquandrea, Un posto per la buona stagione”

  1. Siamo di fronte a una scrittura che trae forza da quello che lascia non detto, dalla sua tensione ellittica. Come la pianta, che trae vigore dalla sua parte non visibile, dal buio del sottosuolo, nemmeno queste parole mostrano le loro radici, ma proprio per questo si avverte in esse il pulsare della linfa. Questa asciuttezza dello stile, che fa zavorra anche della punteggiatura, permette affondi da palombaro nel regno delle ombre, ma si tratta di un Ade che ha i connotati del quotidiano. L’ombra dell’esistenza predilige le claustrofobie domestiche per manifestarsi. L’armamentario metafisico montaliano viene attualizzato in un simbolismo per niente vincolato al suo modello: la ‘crepa’ non vale più come spiraglio salvifico ma come indizio di apocalisse. Certe immagini sono impregnate di una fatalità che sta per compiersi, ne hanno quasi il sentore, ma tra le maglie di questa cremagliera si intravede una fuga possibile, una presa d’aria pura, come attesta il senso di fiducia che chiude gli ultimi due testi, attutendo o facendo sopportabile la certezza che ogni vita sia il ripetersi di una storia già scritta infinite volte prima di noi

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