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Dieci minuti di pordenonelegge #2

IMG_20150919_180028You can’t repeat the past

(F. Scott Fitzgerald)

Giungevo ieri, dopo un excursus diaristico (e un po’ romantico) a dire che la poesia a pordenonelegge può stupire. Quello che propongo nei “dieci minuti” di oggi, è una lettura poetica con le voci di Maria Borio, Roberto Cescon, Tommaso Di Dio, Carmen Gallo, Bernardo De Luca, Stefano Dal Bianco mentre qui cercherò di sintetizzare i contenuti dei due incontri che hanno preceduto il reading.
“Idee di poesia” è stato un doppio intervento attorno ad alcune “parole-guida” con cui la generazione dei nati negli anni Ottanta – e quella dei nati poco prima – «con una fisionomia particolare e caratterizzata dalla precarietà estrema» (Maria Borio) si pone oggi nei confronti dello scrivere poesia, della critica e della mappatura. In questo dialogo è intervenuto anche Stefano Dal Bianco, per porre alcune questioni rispetto ai temi che alimentano un dibattito che non va mai forse a esaurire, da entrambe le parti, le direzioni che si possono prendere e che meriterebbero uno spazio più ampio di quello dato ieri, soprattutto un tempo più largo e la possibilità (e necessità) di un dibattito aperto al pubblico, che per ragioni di tempistiche forse c’è stato solo in piccola parte.
Si è parlato in particolare di: poetica, lirica (poesia lirica), ricerca ed esperienza. Ed è Borio (che è nata nel 1985) ad affermare che: «l’idea di poetica, per la nostra generazione, non ha più senso», indicando in quella che lei chiama «integrità etica ed espressiva» il nodo e la caratteristica principale in cui la sua generazione si riconosce. Di Dio riferisce poi che «il testo è un testo letterario solo se crea un “effetto” all’interno di una comunità che vi si riconosce, un effetto di valore e memorabilità»; “effetto” è termine cruciale per valutare l’efficacia del testo. A questo punto si è rimarcato come le categorie – anche la categoria dell’”io” – debbano seguire la scrittura, non la debbano cioè precedere rigidamente, aprioristicamente, neanche a livello ideologico. Ma è Stefano Dal Bianco ad affermare che si può cadere sempre «nel rischio di confondere la poetica con l’ideologia. E senza una poetica si rischia di rimanere testimoni inerti del proprio tempo»; quindi aggiunge: «La poetica è molto di più che una visione del mondo e la poesia non è fatta solo per dire la realtà ma ha una responsabilità maggiore: portare l’umano dove deve stare». Per Dal Bianco, comunque, citando Vanni Scheiwiller: «La generazione precedente non capisce nulla di quella successiva» e questo interrogarsi sulla poetica oggi appare come «un fatto giovanile». Carmen Gallo riporta quindi il proprio punto di vista: «Continuare a decostruire il discorso poetico è come giocare con le macerie degli altri» e si interroga quindi su “ricerca ed esperienza”, che conducono ad un approfondimento che riguarda la “poesia lirica”. È Bernardo De Luca a ricordare quanto segue: «l’interrogazione sulla forma è un patto che noi stringiamo con il lettore; nella modernità si è rotto: significa che va ricreato.» E conclude: «La lirica per me si dà con l’interlocuzione con il lettore, che si dà con la forma». E, a proposito di poesia lirica, è Guido Mattia Gallerani a ricordare come l’uomo abbia – per volontà – bisogno di dire “io” per sincronizzarsi con ciò che lo circonda.
In questa ricostruzione parziale di entrambi gli incontri, che meriterebbe (mi ripeto) uno spazio altro e più aperto sia altrove sia nel nostro blog (se si potrà concederlo), emergono, a mio avviso, almeno due – forse tre – domande principali: qual è la comunità di riferimento e il pubblico di cui si sta parlando? E perché il criterio generazionale riemerge prepotentemente – da qualche anno soprattutto – nel campo della poesia italiana contemporanea? Da una parte l’idea di “comunità” appare come problematica anche nel campo, ad esempio, della musica: penso al recente dibattito che sta muovendo una fetta del jazz italiano a costituirsi come MIdJ, non un collettivo ma un’associazione che fa informazione, tutela, e “fa gruppo”; costituirsi come comunità è “fare comunità” ma è anche aprire ad un pubblico. È un tentativo di spingersi, portarsi agli occhi della gente per trasportarla dentro un discorso; questo credo sia successo anche a L’Aquila lo scorso 6 settembre. La poesia dovrebbe saper dialogare di un tema come questo anche con le altre arti. La questione generazionale, invece, appare diversamente problematica, soprattutto se paragonata alla stessa questione posta nel campo della prosa: ne è stata una prova, qui a pordenonelegge, la posizione di Mattia Signorini e Ginevra Lamberti: entrambi trentenni e incalzati dalle domande di Chiara Valerio, si sono dichiarati lontani dall’essere giovani scrittori e incapaci di sentirsi tali. E  ci hanno fatto intendere che l’appartenenza – anche letteraria – è altro e parte dalla negazione della categoria generazionale posta da Borio . E così sia.

© Alessandra Trevisan

4 risposte a “Dieci minuti di pordenonelegge #2”

  1. Cara Alessandra, ti ringrazio molto. All’inizio del mio discorso, a Pordenone, ho posto una questione: che cos’è, come può essere letta, intesa una ‘poetica’ oggi (Non siamo stati i primi… l’ultimo niumero dell’Ulisse è dedicato proprio a questo argomento)? Ho posto due distinzioni: da un lato, la poetica d’autore, un mondo di significati e valori da portare in scrittura facendo un’opera letteraria, una forza (che è lo stesso punto di vista di Dal Bianco); dall’altro lato, la poetica come sovrastruttura (Dal Bianco giustamente dice di non confondere poetica e ideologia, ma nell’orizzonte critico e in molte letture ‘comuni’ questa sovrapposizione esiste: ci sono alcuni spazi in cui si parla di poeti lirici, con determinate conseguenze…, e altri spazi in cui si parla di poeti non-lirici, alcuni luoghi in cui il punto di forza essenziale non è la ‘poetica’ come giustamente ne ha parlato Dal Bianco, ma un’altro tipo di ‘poetica’). Credo che questo punto decisivo non sia passato sufficientemente. Quello che si metteva in discussione è il discorso di poetica come sovrastruttura. Un’altra cosa che è risultata destabilizzate, credo, è il fatto che cinque persone di trent’anni hanno scelto di fare un discorso di meta-letteratura, piuttosto che presentarsi come voci autoriali d’altro tipo, proponendo ognuno la ‘propria’ poetica autoriale? Si è voluto portare la riflessione sul significato del ‘fare poesia’ in rapporto ad una condizione che va oltre le nostre presenze individuali. E lo si è fatto con la massima onestà intellettuale. Avremmo potuto, ripeto, presentare ognuno la propria poetica d’autore… Ma la nostra riflessione di base non partiva da questo presupposto. Riflettere sulla sua condizione della poesia (non solo da una prospettiva strettamente autoriale) come dovrebbe essere fatto? E’ ancora giusto che sia fatto? Ci abbiamo provato e, come giustamente nota Alessandra, oltre la condizione generazionale pur partendo da una condizione generazionale. Un autore di poesia forse non dovrebbe riflettere anche su condizioni generali che, direttamente o indirettamente, influenzano lo stare della scrittura nel mondo? Se avessimo posto il discorso nei termini di una poetica d’autore, o poetiche d’autori, in altri termini…, forse avremmo avuto un altro riconoscimento. Ma non era questo l’intento. Credo, in ogni caso, che quello che è avvenuto a Pordenone sia stato interessante per la condizione della poesia, che Pordenone abbia dato uno spazio significativo.

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    • Grazie Maria per questo tuo commento e sono felice tu l’abbia scritto. Si giunge ad un evento anche senza aver letto i riferimenti che tu riporti (l’Ulisse) e, aggiungo, dal mio punto di vista sarebbe interessante vedere pubblicati gli articoli che voi invece vi siete trasmessi via mail in questi mesi come avete annunciato all’inizio dell’incontro e che forse avrebbero aiutato ad inquadrare in modo più chiaro la riflessione ammesso che non li abbiate pubblicati nel frattempo ma ho capito che no, Pordenone è stato il primo banco di prova in questo senso, pubblico.
      Il tempo pubblico è stato limitato. La mia “provocazione” a metà del post è un invito a scoprire di più e vedo che tutti ci state lavorando; questo tuo commento mi dice di più di quello che ho sentito quel giorno. Si aggiungono tasselli.
      Incalzo: i nomi; credo sia molto importante aver visto dibattere voi su questi punti. Lo scrivo perché io ero già vostra lettrice, quindi non influenzata dalla singola “poetica d’autore”. Non credo il mio intervento sottolinei questo. Ho qui tentato di sintetizzare l’incontro e il risultato è parziale, come ammetto, e mi rendo conto sia anche ambizioso porre la questione così ma trovavo comunque importante farlo, perché dopo l’incontro ho sentito il bisogno di pormi due domande. E sono quelle che ho riportato.

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  2. Salve, Seguo queste faccende da vent’anni e ne ho dieci-quindici in piu’ dei protagonisti di questo incontro, ma dieci-quindici in meno di Dal Bianco. Mi permetto di aggiungere che mano mano che passa il tempo e che le vite individuali prendono corsi distinti, rimane la relazione dei testi (propri ed altrui) con altri testi (di riferimento canonico piu’ o meno condiviso) e davvero poco altro. Una dichiarazione di poetica diventa quindi una connotazione biografica o sociale che fa da chiave di lettura per chi si avvicina dall’esterno, non necessariamente un protocollo di intenzioni. Grazie del resoconto e buon proseguimento.

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    • Grazie Giuseppe per questa risposta. So che i protagonisti dell’evento stanno mettendo mano ai loro articoli e lavorando ad un seguito di questi incontri. Penso comunque sia utile partire dal “protocollo di intenzioni” per far nascere o morire un discorso più ampio su questo, e che in generale sia utile a qualunque età e formazione per affrontare un nodo, in questo caso quello proposto.

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