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Massimiliano Damaggio: poesie da ‘Edifici pericolanti’ (raccolta inedita)

damaggio

Transitiamo nella zona industriale
su questa terra defunta riposano
nomi di cose in disuso
gonfi di piogge oblique
fioriscono gli uomini dismessi

Aspettiamo, alla fermata dell’autobus, la sera

Sono piccoli vegetali oscuri
dove immergere la mano
è rumore senza forma
sono le cose con le dita
impermeabili fiori all’incontrario
Coglierli oppure abbandonarli
corpi scivolati nell’ingorgo
di acque inquinate defluiscono
in esistenze decimate
un nome dopo l’altro, dentro i tabulati, fino all’estinzione

In questo modo precipita la notte
un alito assente scivola fra i denti

Aspettiamo l’accredito sul conto corrente

*

Gianluca, hai il sorriso ferito
dalla forbice fra obbiettivo e fatturato
sulla sedia blindata della riunione
carichi in canna il resoconto ultimo
e ti si sente
attorno un largo silenzio, e nel rumore
del tuo dissesto interiore ognuno sta
nella posizione da contratto
Dietro questi piccoli quadri
si muovono gli uomini abbaiati
dal cane del credo quotidiano

Lei ora appartiene, ti dicono
all’archivio dei nomi in disuso

*

È molto il dolore, e io poco
apro la porta: vado a lavorare
il dolore con le mani
degli uomini molti
alla catena del carrello
che riemergono delusi
dalle macerie quotidiane
masticando gli scontrini
e alla scatola di cartone
dove dormono gli involuti
in un cubo senza lessico
evapora il calore
un dito dopo l’altro
fino a quando il polso cede
e dal buco nell’asfalto
germoglia, tiepido, un rancore

Come la carezza energumena
che non sa dosare la forza
come il cane che per troppo amore
al bambino ha divorato il volto

*

Queste parole che guardano il sole
questi ragazzini senza vele
che giocano nel campo di pallone
e intorno a loro il mondo tutto, e il vento
li vedo e mi chiedo dove attraccheranno
il sole caldo per un poco li ha sfiorati
ma non basta a salvarli dalle loro macerie
Primo è l’abisso, che ci osserva
e non conosce la pazienza, e ci insegue
Secondo l’amore che manca alle mani
per raccogliere queste parole
e farne ragazzini che giocano, e che ridono

*

Ma io alla fine è con l’aria che combatto
e levo in alto le braccia per tradurre
una carne in una frase
un risorgere impossibile
e così torno al volante, così incontro l’estinzione
nel cane deceduto alla corsia

Se la tua parola era di inciampare nella ruota
e il vuoto che hai lasciato è ignorato da ogni cosa
con che grammatica interrotta chiami, ora
quelli che passano, e non si fermano
perché di te hanno paura
tanto terribilmente presente sei in tutta la tua assenza

*

Siamo qui per la bellezza, ma
come rifugiati fra due porte
in attesa di un fuoco qualunque
che commuova il calendario

In questo venire e andare di corpi
non hai nemmeno il tempo di dargli un nome
lanciano sul tavolo poche parole, si alzano

Siamo qui per la bellezza, ma
come pieni di linee scure
che potevano essere albero, nuvola: attendiamo,

nell’apnea delle disattese
è tua la voce a filo d’acqua
che modula una fiamma
per chi, liquido, sta

*

Sediamo, dismessi, sull’autobus la sera
attenti a respirare con prudenza, quasi un alito
possa travolgere chi è disattivato e ora dorme

Così è l’ora che intravede il sonno
questo anticipo goloso della morte
perché la nostra carne è poca, e non riempie il giorno

Così è l’ora di entrare nella food court
e in questa prateria di tovaglioli
ordinare appetizers, gringos, nachos

onion rings, crocchette Kociss
tagliata McKenzie di pollo alla griglia
con pomodorini, rucola e mais

French Fries and Old Wild West sauce
Flautas El Paso, cheese
rice & Jalapeños

*

Anni fa vivevo in un palazzo degli anni ’60. Un giorno l’amministratore ci
comunicò che sarebbe stato necessario fare delle infiltrazioni di cemento
perché la struttura portante si stava sgretolando. Da fuori non si notava. Era
all’interno dei muri il problema. Era un edificio pericolante.

A Sarajevo nel ’98 era da pochi anni finita la guerra. Gli edifici pericolanti
erano innumerevoli. C’erano macerie dovunque, l’acqua era razionata e
distribuita in determinate ore della giornata. Un giorno accompagnammo in
tram un amico all’aeroporto e ci trovammo a dover attraversare un campo
minato. Vidi sulla faccia dei compagni un terrore muto e capii che eravamo
edifici pericolanti. Fino a pochi minuti prima scherzavamo, ridevamo sul
tram.

Ciò che sta per cadere non è caduto. In tanti anni ho però potuto
sperimentare che ciò che è pericolante può essere già crollato, ma non
sempre lo possiamo vedere. Come il palazzo nel quale abitavo. O come i
cittadini di Sarajevo in quel ’98. Questo gioco dell’equilibrio fa sì che essere
pericolanti, o meglio in bilico, sia la nostra condizione esistenziale.

***

© Massimiliano Damaggio

8 risposte a “Massimiliano Damaggio: poesie da ‘Edifici pericolanti’ (raccolta inedita)”

  1. Da questi versi un’analisi esatta, nel linguaggio denso-rarefatto della poesia, del dolore del mondo. Ci riconosciamo edifici pericolanti, esseri dismessi, con la speranza sottesa del riconsolidarsi di un’umanità originaria. Una scrittura dolorosamente rivoluzionaria, che capovolge i valori consumisti-economicisti, per ricordare ancora che

    Siamo qui per la bellezza, ma
    come pieni di linee scure
    che potevano essere albero, nuvola

    Resto in ansiosa attesa di leggere l’intero libro,

    Annamaria Ferramosca

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  2. Quale felicità leggere dell’uscita ormai prossima di un libro di Massimiliano! e, come ben dice Annamaria, quest’analisi esatta del dolore del mondo ci toglie ogni alibi, ci mette innanzi all’imperativo etico di non nasconderci dietro un dito e di non distogliere lo sguardo.

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    • E io sono d’accordo con Antonio.
      Letto tutto assieme è un gran libro, duro, coraggioso. E aggiungo che sono contento che esca per Dot.com Press: è la giusta casa per questa raccolta e per Massimiliano. Speriamo che abbia la risonanza che merita, sarebbe un bene non solo per Max, ma soprattutto per chi lo legge.

      Francesco

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  3. Felice di trovare qui i testi di Massimiliano, che ho abbracciato sul nascere. È poesia che nasce sul campo di battaglia della vita. Una transustanziazione laica di carta e inchiostro in carne e sangue. Ci si ferisce in queste pagine. Perché ci si ritrova indifesi davanti ad una voce così autenticamente profonda e umana.
    Nino

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  4. Massimiliano sa quanto io ammiri la sua poesia, e quanto creda in questa raccolta.
    E ha perfettamente ragione Iacovella quando scrive che “ci si ferisce” con queste poesie, perché questi versi infieriscono, martellanti, contro le ipocrisie smascherandole (smagandole, avrebbe detto Contini citando Montale).
    Poesia dura, questa di Damaggio; poesia necessaria ora che più si avverte il bisogno di voci che rendano lo stato delle cose.

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  5. Secondo me Massimiliano Damaggio è uno dei più grandi poeti italiani contemporanei. La sua passione e il suo coraggio permettono alla sua sensibilità di fornirci un’immagine del mondo che è anche un’immagine di noi stessi, ed entra dentro di noi sconvolgendoci e illuminandoci.

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