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PMP (Piero Manzoni e la Poesia)

copertina del primo numero di Azimuth
Copertina del primo numero di Azimuth

In uno scritto del 1957 dal titolo “Prolegomeni a un’attività artistica” comparso sul catalogo di una sua mostra, Piero Manzoni esordisce così: Oggi i concetti di quadro, di pittura, di poesia nel senso consueto della parola non possono più avere senso per noi…”. Il termine “poesia”, inserito nel contesto, rischia di passare inosservato se non fosse che, effettuata una ricognizione nell’ambito dell’intero percorso artistico di Manzoni, la forma artistica poesia gioca un ruolo non secondario che val la pena approfondire. Per fare ciò mi sembra utile partire da una mostra che viene inaugurata Il 26 maggio del 1990 a Ravenna. Se si sfoglia il catalogo di quell’esposizione, ciò che colpisce immediatamente è il fatto che oltre all’introduzione di C. Spadoni (oggi direttore artistico del Museo d’Arte città di Ravenna) siano presenti, per scelta esplicita dei curatori, testi di tre poeti che in maniera diversa sono stati legati a Manzoni: Nanni Balestrini, compagno di liceo (come Vanni Scheiwiller, editore e critico che seguirà l’avventura dell’artista), Elio Pagliarani che fu invitato a partecipare alla breve ma intensa esperienza della rivista Azimuth (1959) e Antonio Porta con uno scritto presentato in occasione della Biennale di Venezia del 1984.i La scelta nasce evidentemente dall’esigenza di abbandonare la didascalia e spesso la retorica di una già scarsa e superficiale critica post mortem che insieme ad una storiografia limitata avevano riassunto il lavoro di Manzoni nella nauseante definizione di quegli stereotipi che hanno poi soffocato la sua straordinaria e eterogenea ricerca attorno alle opere più eclatanti (la «Merda d’artista» per esempio). La forma “poesia” si presenta quindi esplicitamente come atto critico e non esclusivamente come forma d’arte che trova una vicinanza “poetica” alla ricerca di Manzoni. Il rapporto d’amicizia e di collaborazione tra Manzoni e i “Novissimi” ha lasciato esempi interessanti che aprono una serie di riflessioni su quanto sia stata profonda la traccia lasciata dall’artista e come il suo pensiero abbia coinvolto personaggi che trasformeranno il panorama poetico e critico dell’Italia degli anni 60. Non è questo però il luogo dove affrontare la storiografia di un’amicizia o gli eventuali paralleli critici e filologici con i Novissimi (il gruppo 63 nasce proprio nell’anno della morte di Manzoni) che risulterebbero poco utili. Quello che interessa adesso è capire quanto la forma poesia possa avere influenzato il lavoro di un artista che ha sintatticamente riportato il “silenzio” nell’arte figurativa (“…non c’è nulla da dire, c’è solo da essere, solo da vivere.”). Per questo trovo interessante partire da un catalogo che ripercorre coi contemporanei e solo apparentemente attraverso il ricordo, il percorso creativo di un Piero Manzoni, che è costellato di incontri e collaborazioni con la poesia e la scrittura, complice senz’altro anche la frequentazione del braidense bar Giamaica, uno dei “covi” delle avanguardie artistiche milanesi e luogo d’incontro eterogeneo che come altri (l’Oca d’Oro di Pomé, il Genis, le sorelle Pirovini, La Parete…) ha visto ospiti personalità come Cattafi, Bianciardi, Anceschi, Buzzati, Sinisgalli.
Manzoni frequenta anche l’ambiente artistico di Albisola, a pochi chilometri da quell’altro “covo” che è Cosio d’Arroscia. Arriverà a incontrare Asger Jorn e Ralph Rumney, e pur mantenendo un inevitabile distacco dalla “poetica” situazionista di Simondo e Gallizio non resterà indifferente davanti ad alcuni testi di Debord e in particolare alla ricerca psico-geografica che avrà il suo ruolo poi nelle celebri «Tavole d’accertamento» edite da Scheiwiller nel 1962.
Per tornare a ragionare su una possibile accezione “critica” della poesia, non si può non evidenziare come da parte di Manzoni ci sia una ricerca tanto ossessiva quanto precisa della “scrittura” come complemento alla creazione e diffusione dei suoi eventi; basta sfogliare i cataloghi, gli inviti che accompagnano le prime mostre proprio al bar Giamaica o nelle gallerie di Milano e Albisola. E’ in questo contesto che si osserva come il rapporto con il linguaggio poetico arrivi ad assumere una doppia valenza; sia essa espressione artistica e in contemporanea, espressione critica del lavoro artistico. Non si spiegherebbe altrimenti il suo legame con Emilio Villa e la collaborazione programmatica e operativa con Vincenzo Agnetti, poeta donatosi anima e corpo prima alla critica e poi definitivamente all’espressione artistica. Sarà lui, su esplicita richiesta di Manzoni il redattore e la firma di presentazioni, cataloghi e l’autore dell’introduzione alle già citate «Tavole d’accertamento». La collaborazione con Agnetti si può dire che nasca nel 1959 con l’uscita del primo numero di Azimuth: più che una rivista d’arte, un vero e proprio manifesto del cambiamento in atto, che si presenta senza una linea ideo-logica, nel sovrapporsi e susseguirsi di artisti che hanno poco in comune tra loro alternati e accompagnati da scritti critici e poesia, vi partecipano infatti Balestrini, Pagliarani, Sanguineti.
Manzoni, sembra fidarsi solo del linguaggio poetico come strumento critico; nella sua corrispondenza con Agnetti sono frequenti le richieste di una scrittura che vada aldilà del “paesaggio e del colore”: è evidente la tensione per la necessità di una critica che sia complice e compagna nel cambiamento, non posteriore e meramente analitica. E’ interessante in questo senso l’ipotesi espressa da E. Grazioli in un suo testo su Manzoni, che vede tale collaborazione come la necessità di dare una voce al forte cambiamento in atto attraverso una sorta di “atmosfera e collaborazione”. C’è un’instabilità tale per cui non può esistere una critica in grado di affrontarne la precarietà e allora ben venga l’intuito del poeta in sostituzione ad una critica di analisi. In aiuto ci giunge poi la figura di Emilio Villa. Tra i due ci sarà un vero e proprio scambio creativo. Villa  dedica a Manzoni un saggio dei suoi: multilingue, colloquiale, provocatorio, dove (forse unico esempio) non può non comparire il milanese, vero e proprio codice delle avventure braidensi. Quel saggio sarà inserito negli ”Attributi dell’arte odierna”. Manzoni gli risponderà degnamente con quel PMP (Piero Manzoni Pirla) intestazione di un libro self-made di Achromes.  C. Subrizi, in una nota contenuta nella nuova edizione degli Attributi, definisce con precisione i contorni di quella “atmosfera “ e riferendosi a Villa infatti scrive: “...Egli non soltanto segue ma affianca gli artisti e l’arte del suo tempo, scegliendo di porsi non accanto al panorama complessivo delle ricerche e della sperimentazione, ma al suo interno: da artefice…” e continua “…Proprio perchè affronta l’arte non da critico ma da poeta – ovvero da artista a sua volta – usa la critica come strumento di indagine sui processi creativi, in modo non diverso da quello con cui la sua parola poetica… esplorava le lingue antiche e moderne”. Villa, quando esce il primo numero di Azimuth, dirige la rivista di critica Appia Antica, il 22 aprile 1961 sarà “firmato” da Piero Manzoni; un anno e mezzo dopo, Piero Manzoni muore nel suo studio per un infarto.

© Iacopo Ninni

Bibliografia:


Ringrazio:
La Fondazione Opera Piero Manzoni di Milano nella persona di Rosalia Pasqualino di Marineo, per la documentazione e la bibliografia.
S. Sardella,  C.Subrizi. A. Cortellessa,  A.Inglese per suggerimenti, consigli e disponibilità.
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Nota

i – La Biennale del 1984, con Maurizio Calvesi alla direzione artistica, presenta una “Sezione Poesia per Arte allo Specchio”. Alla lettura poetica che chiude la Biennale sono invitati Andrea Zanzotto, Giovanni Giudici, Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Giovanni Raboni, Maurizio Cucchi, Maurizio Brusa, Valerio Magrelli e Gian Ruggero Manzoni

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6 risposte a “PMP (Piero Manzoni e la Poesia)”

  1. Mi pare – azzardo – di leggere in Manzoni, qualcosa che riguarda in quegli anni anche la poetica di John Cage; è certo da approfondire ma la citazione di Cage
    I have nothing to say and I’m saying it
    è calzante, credo, anche per l’Arte di Manzoni; infatti citi
    non c’è nulla da dire […] c’è solo da vivere
    Poi, anche la questione del silenzio nell’arte figurativa; mi paiono riflessioni che riguardano nello specifico gli anni ’60 nel mondo.
    Grazie

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    • Esatto Alessandra. E’ un silenzio programmatico, è un lasciare all’arte la voce dell’arte. tutto il resto deve tacere.

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  2. Grande Jacopo! Bel pezzo. Intanto mi ha dato una pista di cui nulla sapevo: Manzoni – situazionisti. E poi le Tavole d’accertamento? Ma sono uscite in edizione limitata da Scheiwiller?: illumina gli ignoranti!

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    • Grazie Andrea. Le tavole di accertamento sono del 1958 e vengono edite da Scheiwiller nel 1962. Manzoni espone proprio nel 1958 con Ralph Rumney e progetteranno assieme un ambiente labirinto. Ho aggiunto in bibliografia un testo che parla anche del rapporto tra Manzoni e il Situazionismo.

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  3. In seguito ad una gentile segnalazione da parte dell’Archivio Opera Piero Manzoni, ho corretto alcune imprecisioni e carenze. tra cui la data della firma di Emilio Villa, l’uscita delle Tavole d’accertamento e la grave dimenticanza del rapporto con Ralph Rumney.

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