Eclogae – Frammenti (Parodie inedite)

 

 

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di Daniele Ventre

1. FRAMMENTO DI ITLODEO E FILALETE

Scena: una vetrina di fiori finti

ITLODEO

Tu, Filalete? Tu qui? Non credevo avessi piacere
di fiorerie pullulanti di plastica… Dove l’hai messa
l’anima che t’insegnò: “Sarà di Filonda la mandria?”
l’anima che ti dettò: “Sarà il gregge di Melibeo?”
Forse fra questi bijoux contraffatti, in mezzo alle foglie
false di carta velina, fra i ninnoli, stampi di serie,
penduli sopra gli abeti ecologici delle feste?

FILALETE

Caro Itlodeo! Questa pace il registratore di cassa
l’ha fatturata per noi, fantasmagorie d’algoritmi
a calcolare gli introiti, le vendite. Quanto a Filonda,
della sua mandria ne fa scatolame a norma di legge
in un bazar d’Alessandria. Però Melibeo fa di meglio:
dopo lo sfratto è migrato in Britannia; adesso mi scrive
che le sue capre non ha da piangerle –la poesia
è poesia, ma le capre ci puzzano… Caro Itlodeo,
ora non servono più, queste voci sparse fra i vuoti,
sillabe perse fra nudi silenzi. E del resto a sentirle
abbandonate nel buio, deprimono: portano scritto
dentro la loro matrice genetica l’agro destino
(livida futilità) d’un amore un po’ solitario.

ITLODEO

Come puoi dire così, Filalete? Ancora ricordo
quanto piaceva alle selve imparare dalla tua voce
la melodia della quieta volubilità d’Amarilli,
o l’armonia della danza umbratile di Galatea.
Ogni sussurro o fruscio o liquido soffio di brezza,
ogni leggero sorriso di fonti era voce al tuo sogno.
Solo in quel tempo ho vedute le selve animarsi di ninfe.

FILALETE

Sogno rimase, Itlodeo. L’immagine delle creature
passa in un vano brillio di memorie: al sogno non resta
carne. Col tempo le voci si perdono –solo conosci
trame di diafani volti tra futili pirotecnici
Poi ti guarisce l’età, nell’animo: cresci e d’un tratto
sai che le ninfe gentili non furono che desideri
ad animare una muta natura, un brusio senza scopo;
senti, nel tempo, che il mondo non muta a un mutare di voci.
Tu l’hai covato fin troppo nell’animo, come un ragazzo,
questo animarsi del mondo in un luccichio di non-senso:
vecchio Itlodeo, nel tuo nome tu l’hai, questa scia di non-senso.

ITLODEO

Tu l’hai covata fin troppo nell’animo, questa vecchiaia
delle parole e dei sogni. E non sai che inganno e non-senso
hanno più spesso saggezza, che un registratore di cassa?

FILALETE

Ora mi ripeterai che l’amante inganna l’amato
e chi si lascia ingannare sa più di chi sfugge all’inganno
e chi ha saputo ingannare dà più di chi ignora l’inganno.
Io non so altro che questo: una fioca voce di canti
vale di fronte all’immenso procedere dell’ingranaggio
meno d’un giunco piegato di fronte alla truce tempesta.
Caro Itlodeo, cambieresti anche tu, se solo pensassi
alla potenza spiegata nell’interminato bagliore
delle città nella notte, brillanti in un vuoto di stelle
ad offuscare le stelle, a incantare un cielo di latte,
a trasformare la luce in nebbia. E vedresti le vite
all’improvviso mutare e assumere giorno per giorno
innumerevoli forme bellissime, nell’aggregato
della materia biotica e abiotica, lungo una trama
limpida d’informazioni animate in fibre di luce.
Sì cambieresti anche tu, Itlodeo: vedresti le vite
interconnesse alla fine in un corpo mistico, acceso,
interfacciate in un canto, in un golfo mistico arreso
all’armonia del controllo per la melodia delle forme
innumerevoli, vive, bellissime. Questa ragione
ora governa la terra: non servono più le parole.

ITLODEO

Forse io davvero l’avrò, nel nome, una scia di non-senso:
la verità ch’è il tuo nome s’è persa in un gorgo d’oblio.
Altro vedevo in quel tempo, nei boschi animati di ninfe.
Altro vedresti di nuovo, se tu ricucissi i tuoi canti
sulle tue toppe sdrucite, e lasciassi questa ragione
muta di futilità e il registratore di cassa.
Ora non vedi nemmeno l’immagine della ragione
che innumerevoli forme animate in fibre di luce
intesserebbero ancora in un corpo mistico, vivo
d’una coscienza remota, se tu ritrovassi i tuoi canti,
se non li avessi scordati e gettati all’onda del tempo,
persa memoria e visione del mondo, a un rancore di Muse.
Va’, Filalete, per te pregherei, vedessi tu il segno
della natura profonda e l’inganno dolce del senso
farsi ben più verità che la tua matrice d’oblio.
Quando vedrai le tue forme esplodere senza contorni
nella foschia del grigiore e ottundersi l’aria di nebbie
tossiche, quando vedrai che i tiranni muti del mondo
protenderanno le grida in artigli contro le vite,
comprenderai che le capre non puzzano: solo quel giorno
comprenderai che nel vuoto lasciato alle gore di fango,
labili di vacuità, le parole servono ancora
a suscitare dal vuoto un bosco animato di ninfe.

* * *

2. FRAMMENTO DI ITLODEO

Scena: un locus amoenus ad usum legentis

Si consumava Itlodeo, cantando alle selve Amarilli
–solo alle selve virtuali, poiché non ne restano tanti,
nel circondario, di boschi animati, alberghi di ninfe.
E non aveva fortuna nemmeno a passare fra i boschi
dei narratori: quei boschi ormai li frequentano in troppi
(e più che altro maldestri scopofili). «Forse dovrei
anche cambiare linguaggio, adattarmi ai tempi, seguire
l’onda nel modo che è giusto, un cheese alle foto di gruppo,
essere pronto, adeguarmi all’attimo. Solo sorrisi:
“Il paradosso: pensate, basatevi sul paradosso.
Siete invitati a una festa, ma non conoscete nessuno?
Voi sorridete con grazia, apritevi senza esitare:
sorrideranno anche gli altri” così mi incantò il terapista.
E tuttavia non è un’arte che amo –e ce n’è poi di gente
che nelle feste e nei giri più chic fa sorrisi a comando,
giovani eterni, amicizie di plastica, buoni per tutto
nella città della gioia, in cui non c’è posto per gente
fatta di carne e di sangue. Ah, se tu volessi, Amarilli,
ritorneresti da me, troveresti senso e ragione
nella stanchezza che a volte ti prende al mattino per l’afa,
nella tristezza che a volte ti vela i tuoi occhi alla sera:
non fingeresti per noia un’eternità che non hai.
Sì, cederesti al peccato dell’essere quello che sei.
Non troveresti le ninfe quaggiù, né le piogge di fiori:
non ti dirò che gli dèi hanno amato i boschi anche loro:
oggi non ne ho più di boschi e di dèi da offrirti al bisogno.
Non troveresti da me neppure un musetto di Musa,
Qui non ho altro che selve di immagini, tutti gli dèi
sono fuggiti dal mondo. Non amano cenere e chiasso,
né fantasie di sterminio. Una voce autentica, invece,
questa davvero saprei donartela, chiara Amarilli».
Sì, così disse Itlodeo, cantando Amarilli graziosa
e gli stormivano intorno volubili boschi virtuali
e la regia fu contenta «Lasciamola, questa è perfetta!
Solo, le luci, più basse le luci, un po’ più d’atmosfera
e la colonna sonora, i sistri agitati dal vento.
Ora la pubblicità». Così recitava Itlodeo
dentro uno studio di via Teulada i bucolici amori,
quanto soffrì per la dolce volubilità di Amarilli
–e ne fu lieto quel giorno il pubblico divoratore,
lo spettatore spietato, lucifuga lurco di lutti.

14 risposte a “Eclogae – Frammenti (Parodie inedite)”

  1. Va’, Filalete, per te pregherei, vedessi tu il segno
    della natura profonda e l’inganno dolce del senso
    farsi ben più verità che la tua matrice d’oblio.
    Quando vedrai le tue forme esplodere senza contorni
    nella foschia del grigiore e ottundersi l’aria di nebbie
    tossiche, quando vedrai che i tiranni muti del mondo
    protenderanno le grida in artigli contro le vite,
    comprenderai che le capre non puzzano: solo quel giorno
    comprenderai che nel vuoto lasciato alle gore di fango,
    labili di vacuità, le parole servono ancora
    a suscitare dal vuoto un bosco animato di ninfe.

    m e r a v i g l i a

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  2. Brividi. Per tenere i polsi di un’operazione del genere senza farla mai diventare giochino intellettuale ci vuole un senso della grazia che possiedi in pieno, e che ci investe. Complimenti grandissimi.

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  3. Non ci si stanca di seguire l’alternanza in dialogo tra sovvertimento del senso (comune, usuale, tranquillizzante?) e amor di verità, che porta il divertissement alle sua vera natura, di “grazia (ha ragione Giovanna Amato) e dignità”. Il mio apprezzamento è di rado separato dall’associazione con scrittori di lingua tedesca. In questo caso è stata spontanea l’associazione con la scrittura di Peter Hacks, autore attivo nella DDR prima, durante e dopo “Gli anni meravigliosi” e il cui nome è legato alla ‘sozialistische Klassik”. Un saluto riconoscente.

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