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Anna Toscano, “Doso la polvere” (La Vita Felice, 2012)

Ogni nuovo libro è sempre una nuova partenza, anche quando i versi possono dare l’idea di un approdo definitivo dopo aver compiuto un certo percorso. Ma se si decide di scostare a poco a poco la polvere posatasi sui giorni, allora ciò che ne risulta, ciò che (ri)emerge è il segno nuovo.
Doso la polvere è tutto questo e molto altro. Ci sono gli oggetti cari alla poesia di Anna Toscano; quei molti oggetti conosciuti nelle sue raccolte precedenti che indicavano il mondo dell’instabile sua stabilità (Anna è divisa a metà tra un certo tipo di nomadismo, quello che la spinge alla costante ricerca di luoghi da conoscere e volti da incontrare, e la certezza di poter sempre ritornare a Venezia, suo rifugio senza tempo) ora parlano un’altra lingua, meno sicura di sé. Gli oggetti interrogano le grandi assenze che sono diventate protagoniste del suo quotidiano vivere: il dolore non è scansato, non è rimosso; il dolore è interrogato pur nell’impossibilità di ricevere una risposta.
E Anna Toscano interroga con lo sguardo che per abitudine mette a fuoco il dettaglio, il particolare; abitudine che comincio a pensare non provenga dalla sua passione per la fotografia, perché non credo si debba più ricorrere a questo costante confronto nel suo porsi innanzi alla vita. Anna sa guardare le cose con i suoi occhi, senza bisogno di filtri.
Doso la polvere è un libro atteso, come si attendono solitamente i musicisti, i cantanti, alla loro terza prova; è un libro più compatto dei passati perché la vita che si è sedimentata in questi nuovi versi ha presentato un conto molto alto ad Anna e alla sua poesia. Eppure ciò che stupisce più di ogni altra cosa è la luce che ogni oggetto, ogni particolare, ogni tassello acquistano dopo la rimozione della polvere. Certo non tutta la polvere è rimossa, non tutto è portato a conoscenza del lettore; qualcosa è rimasto celato all’occhio indiscreto del lettore e ancor più allo sguardo indagatore della poetessa: «È che non voglio più/ vedere troppo, vedere tutto» ci viene detto alla fine del libro; «Voglio lasciar fuori,/ anche quando,/ mi chiudo fuori» sono i versi di un’accorata preghiera alla vita stessa ora che le prove sono state più grandi di tutto quanto era stato pensato, immaginato e vissuto prima. In quelle tasche nelle quali si è rovistato sicuramente qualcosa di significativo è rimasto celato, ma non è questo il momento per spolverare anche quell’angolo. Ora è il momento di dire “io ci sono” a quell’esattore cercato a Montparnasse per riscattare parte del tempo non perduto, bensì “scordato”; perché è la memoria la chiave del libro; è la memoria a essere spolverata e dosata come la polvere (e non c’è eco montaliana in questo procedere mnemonico; c’è solo Anna Toscano).
E così la trama del libro si infittisce in continui nuovi intrecci e non è facile all’inizio seguire questo peregrinare della memoria da Venezia a Siviglia, da Bologna a Parigi, a Milano, ritornando sempre a Venezia, in un tempo che è di per sé atemporale come il tempo di Venezia e dove si sente il rimbombo dei passi nelle calli, come nelle strade di ogni luogo dove Anna sia stata (si leggano La storia dei miei passi e Macino passi macino pensieri). E non sarà poi così assurdo mettere in relazione il ritmo di queste migliaia di passi con il “tic tac” dell’orologio della madre che ora scandisce il tempo dell’attesa; ed è sicuramente il vertice del libro la poesia Ti ho cercata perché a un dettato talmente semplificato da apparire scarnificato l’io si consegna con la leggerezza di una donna tornata figlia, malgrado il duro colpo inferto ai sogni sin dalla poesia che apre il libro (Qui dove vivo).
Doso la polvere sposta con sorprendente forza la ricerca poetica su territori prima soltanto sfiorati; incontriamo poesie civili accanto a poesie che tendono a una ridefinizione di una metafisica dal vago sapore – questa volta sì – montaliano, quello tardo, se non fosse che a immetterci nella giusta chiave di lettura intervengono la mancanza di un codice linguistico di riconoscimento con l’assente e la presenza invece di una facile rima baciata in clausola che svela tutta la dolorosa ironia della ricerca («Hai passato la vita/ sfogliando di mattina/ la pagina dei morti.// Quando su quella pagina/ ci sei stata tu/ non potevi leggerla più»).
Lo stile si rinnova anch’esso, e al verso breve meditato si accostano versi dilatati e più rapidi; alle poesie brevi (tipiche di chi dichiarava di non sapere scrivere poesie lunghe) si affiancano ora poesie di media lunghezza, dove il discorso si concede di più al racconto quasi aneddotico senza che questo comporti una flessione della tensione, e ne comprometta la resa finale.
Ed è in questa luce che trovano nuova vita alcune poesie (al dire il vero poche) già pubblicate in altre sedi da Anna Toscano; e se al loro primo apparire si avvertiva la sensazione di un discorso appena accennato, ora quelle poesie (come per esempio Only distance e Se lo sentiva) partecipano al completamento del più ampio discorso veicolato dalla raccolta. Un discorso che mostra tutte le crepe della precarietà del vivere, della caducità compresa nel suo momento più drammatico; che chiama ancora una volta le cose col proprio nome (già in un’altra occasione m’ero soffermato su questa caratteristica della sua poesia) cercando di identificarle, cercando di riconoscerle in quel fuori tanto uguale quanto diverso (C’è un filo rosso), in un continuo gioco di antitesi dove la sospensione del tempo (l’immobilità del tempo) sembra chinarsi alla sospensione di un giudizio; sì perché non c’è alcuna condanna definitiva. Si rimane in attesa di altra polvere da spostare e di altre pagine da scrivere su di un io reso più nudo ancora (scarnificato, ho scritto poco più sopra) della carne esposta che cerca il tepore (Ci sono città), come se la poetica delle “pelle parole” avesse nuovamente trovato un ordine nella disposizione caotica degli oggetti (e sappiamo, grazie a Gabriele Pepe, quanto “bisbetico” possa essere il caos; quel caos definito da Anna Maria Carpi, nella nota che accompagna la raccolta, «la voce del provvisorio e del contingente»).

© Fabio Michieli
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QUI, DOVE VIVO

In queste due dozzine di anni
ho calpestato
queste migliaia di pietre,

a due piedi
a quattro piedi
a decine di piedi,

ho baciato sotto quell’unico lampione
cinque bocche
venti bocche
quante bocche,

ho dormito in questo letto
con quante persone
tante persone,

i sogni
li ho infranti tutti
con una lancia sola.

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TI HO CERCATA

Ti ho cercata
nel tic tac del tuo orologio rosso
ti ho cercata
tra i tasti del tuo telefono blu
ti ho cercata
tra i cuori della tua coperta colorata
ti ho cercata
attraverso le lenti dei tuoi occhiali
ho rovistato
tra i miei ricordi grigi mal chiusi
ho annaspato
su cassetti che non si aprono
ho pianto
tra i tuoi golfini marrone
e poi ho capito.

Ho capito
che stai al di là della soglia
oltre la distanza
perché io non avrò paura
sapendo che mi aspetti.

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TUTTO È IN AFFITTO

Andiamo via
è ora di un altro luogo

siamo grucce per cappotti
manichini per cappelli
forme per guanti

tutto è in affitto
tutto ha un prezzo

il corpo pare lo dobbiamo restituire
e quanto ci è costato
dobbiamo cedere tutto al mondo
quando ce ne andremo

tutto è in affitto
tutto ha un prezzo

nella tua macchina, nella tua casa, nel tuo bagno,
nel tuo letto, nelle tue braccia, tra le tue gambe

tutto era in affitto
tutto aveva un prezzo

tranne nel tuo cuore,
occupato da te.

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IL MIO VOCABOLARIO
– cover di Depressione –

Il mio vocabolario dell’agire
nelle sue declinazioni
è costituito da neuroni canonici
che registrano l’afferrare
di un elastico al risveglio
e il portarlo ai capelli,
il mettere l’acqua filtrata nel bollitore
e poi versarla in una grande tazza
dove dalla sera attende una bustina di tè,
il portare la tazza alle labbra
il tè nella bocca, la lingua
che lo trattiene sul palato
gli occhi che si chiudono piano
sul primo piacere della giornata
il cervello che immagina
che il mondo stia in quella tazza
e la ripone accanto al letto
dove la giornata si chiude
sul suo inizio.

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Anna Toscano vive da molti anni a Venezia, dove insegna Lingua Italiana all’Università Ca’ Foscari. Collabora con varie testate tra le quali il “Sole24 Ore”, cura iniziative culturali legate a letteratura e poesia. Collabora a diverse scuole di scrittura ed è editor presso alcune case editrici. Varie le esperienze teatrali. Come fotografa, sue fotografie sono apparse in numerose riviste, manifesti, copertine di libri, pubblicità, mostre personali e collettive. Nel 2011 è uscito il quaderno poetico only distance, preceduto dalla raccolta All’ora dei pasti (2007), e Controsole (2004); gli ultimi inediti poetici sono apparsi nell’antologia Orchestra a cura di Guido Oldani, 2010; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie; sua la curatela di cataloghi d’arte e libri di poesie. Da alcuni anni con Alessandra Trevisan conduce la trasmissione radiofonica Virgole di poesia, per Radio Ca’ Foscari, webradio dell’università veneziana.

14 risposte a “Anna Toscano, “Doso la polvere” (La Vita Felice, 2012)”

  1. non riesco a lasciare un commento ‘anonimo’ di apprezzamento, nel senso che il forte legame che ho con la poetessa mi impedisce di essere neutra: quindi la mia felicità è amplificata, sì, sono felice per Anna, innanzitutto, perché so da cosa nasce questo nuovo lavoro, l’ho visto crescere nel quotidiano che abbiamo vissuto – anche – insieme. E poi sono felice perché è un ottimo libro, il suo migliore.
    grazie Fabio per il tuo contributo in questo giorno di festa.

    M

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  2. il corpo pare lo dobbiamo restituire
    e quanto ci è costato
    dobbiamo cedere tutto al mondo
    quando ce ne andremo

    mi basterebbero questi versi.

    complimenti ad Anna e a Fabio, che ne mette in luce perfettamente il percorso poetico, l’esigenza di risposte e la consapevolezza delle assenze.

    nc

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  3. Grazie Fabio di questa lettura che mette insieme il prima a ora, ci sono scorci che avevo appena intravisto e che tu, da lucido e attento lettore quale sei, hai scannerizzato subito.
    Ora grazie. Grazie a Madda e a Natàlia.
    Tornerò a dire più tardi una maggiore riflessione.

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  4. Così di brutto mi viene alla mente quanto scritto da Alfonso Berardinelli in: I poeti e il rischio di essere letti, dove il critico annota che dagli Stati Uniti è arrivato uno stile che “permette di produrre diligentemente una poesia al giorno buttando l’occhio sulle pareti della propria stanza, sul bricco del te… usare molto gli spazi bianchi che sono molto suggestivi”. Riporto ciò perché nell’ultima poesia di Anna Toscano gli spazi bianchi non ci sono. E questo mi fa pensare che i vuoti non sono nella scrittura, ma nella carne e nel dialogo dell’anima/corpo con il proprio io. La bellezza dell’ultimo testo è in ciò, che li lascia immaginare dai pieni (quelli, appunto, della scrittura). E per quanto possa sembrare paradossale, è proprio la capacità di rivestire i versi di una fibra ignifuca che ci trasmette il calore puro di ciò che si butta nella fonace della quotidianità, dove tutto è mescolato e in cui l’abilità è nel separaree il dettaglio per mostrarcelo in tutta la sua essenza plastica e visiva. Quèllo che a me, come lettore, pare anche la raggiunta maturtà di un occhio e di un gusto e di un fiuto sicuro nell’evitare banalità e noia.
    renzo favaron

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  5. Sono molto curioso di leggere per intero questa raccolta di Anna, che ho incontrato nuovamente la scorsa estate dopo diversi anni. Quello che ho letto e sentito è il segno di un percorso compiuto, e di grande spessore.

    Francesco t.

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  6. renzo grazie del tuo commento, condivido ciò che dici, come anche che la banalità e la noia della scrittura stanno nella pelle nella carne del dialogo anima/corpo. per questo amo la poesia delle persone e non quella della gente, dunque quella reale e non quella costruita a un tavolino dove sotto le zampe ci sono zeppe di compromessi e ignavia.
    e in questo so che siamo d’accordo, per come amo la tua poesia e apprezzo te come persona. nella tua poesia c’è la bellezza del mondo.

    francesco, un altro poeta persona che leggo e ascolto con amore. Grazie.

    fabio, grazie.

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