In Apulien, 4 – La luna dei Borboni

In Apulien, 4 – La luna dei Borboni

Trommeln in den Höhlenstädten trommeln ohne Unterlaß
weißes Brot und schwarze Lippen
Kinder in den Futterkrippen
will der Fliegenschwarm zum Fraß

 

Tamburi nelle città cave rullano senza sostare
pane bianco e labbra nere
nelle greppie bimbi a schiere
vuole di mosche il nugolo gustare

 

Ingeborg Bachmann, In Apulien

(traduzione di Anna Maria Curci)

Questa rubrica propone itinerari di lettura tra voci della terra di Puglia. Alcune di queste sono note, altre meno, altre ancora sono state troppo presto dimenticate.

Ancora sulla “triste condizione della dimenticanza” (Rossano Astremo) si sofferma la quarta tappa della rubrica “In Apulien”, dedicata all’antologia di poesie di Vittorio Bodini, La luna dei Borboni, pubblicata per la prima volta nel 1952, esattamente sessanta anni fa.
Scrive Rossano Astremo nel saggio Bodini e le struggenti inchieste, pubblicato su “Nuovi Argomenti” (n. 32, ottobre-dicembre 2005):

«Ad esclusione di “Quarta Generazione”, antologia curata da Piero Chiara e Luciano Erba sulla giovane poesia, pubblicata da Magenta Editrice nel 1954, di Vittorio Bodini non c’è traccia nelle principali antologie di riferimento sulla poesia contemporanea. Dall’antologia curata da Edoardo Sanguineti, pubblicata da Einaudi nel 1969, a quella di Pier Vincenzo Mengaldo, che risale al 1978, quando uscì nella prestigiosa collana de I Meridiani della Mondadori, sino ad arrivare alla più recente, frutto del lavoro di selezione di Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi, da pochi mesi apparsa arricchita nella collana Classici Moderni della Mondadori, di Bodini neanche l’ombra.»

Astremo menziona gli studi su Bodini di Lucio Antonio Giannone e la ripubblicazione, da parte della casa editrice Besa, di alcune sue raccolte di poesia; auspica l’interesse della critica letteraria che “renda merito a una voce che il peso del tempo ha seppellito senza giusta ragione”. Qui cominciamo con il proporre a chi legge alcuni versi di Bodini tratti dalla raccolta La luna dei Borboni, significativo punto di arrivo e di partenza per la poesia del Novecento.

 

Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia d’un dado

Vittorio Bodini

Vittorio Bodini

 

da: La luna dei Borboni

La luna dei Borboni
col suo viso sfregiato tornerà
sulle case di tufo, sui balconi.
Sbigottiranno il gufo delle Scalze
e i gerani — la pianta dei cornuti —,
e noi, quieti fantasmi, discorreremo
dell’unità d’Italia.
Un cavallo sorcigno
Camminerà a ritroso sulla pianura.

.

***

Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud
un tramonto da bestia macellata.
L’aria è piena di sangue,
e gli ulivi, e le foglie del tabacco,
e ancora non s’accende un lume.
Un bisbigliare fitto, di mille voci,
s’ode lontano dai vicini cortili:
tutto il paese vuole far sapere
che vive ancora
nell’ombra in cui rientra decapitato
un carrettiere dalle cave. Il buio,
com’è lungo nel Sud! Tardi s’accendono
le luci delle case e dei fanali.
Le bambine negli orti
ad ogni grido aggiungono una foglia
alla luna e al basilico.

.

***

Possibile che polverose cicogne
trapassino le crune dei campanili?
Che l’esatto sorriso delle astrazioni
baleni dalle velette, per le stanze
ove l’odore degli agrumi e il vento
di scirocco escludono ogni memoria?
Cresciuti fra la secca polvere e i fiori rubati
– gelsomini e garofani e polvere che dà barbagli -,
nuovi fanciulli ora tremano al buio degli anditi
ove li attira col suo caldo fiato la lasciva paura.
(Era un confine ogni albero che il treno varcava
spogliando i rami del loro fogliame di corvi,
e quel delirio d’ali nere nell’aria
arsi frammenti erano d’una lettera
che tenteremmo invano di ricomporre.)

.

***

I preti di paese
hanno le scarpe sporche
un dente verde e vivono
con la nipote.
Presso cassette vuote
d’elemosina
sanguina Cristo in piaghe
rosso borbonico;
esala un’agonia
dura dai banchi
e dai fiori di campo.
In piazza, accoccolati
sulle ginocchia del Municipio,
stanno i disoccupati
a prendere l’oro del sole.
Trotta magro e sicuro
un gatto nel Sud nero.

.

***

Qui non vorrei vivere dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare;
lento piano dove la luce pare
di carne cruda
e il nespolo va e viene fra noi e l’inverno.
Pigro
come una mezzaluna nel sole di maggio,
la tazza di caffè, le parole perdute,
vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
divento ulivo e ruota d’un lento carro,
siepe di fichi d’India, terra amara
dove cresce il tabacco.
Ma tu, mortale e torbida, così mia,
così sola,
dici che non è vero, che non è tutto.
Triste invidia di vivere,
in tutta questa pianura
non c’è un ramo su cui tu voglia posarti.

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“Bodini è nato da genitori leccesi il 6 gennaio del 1914 a Bari, ma ancora in fasce viene portato a Lecce. A diciotto anni fonda un gruppo futurista. Nel 1937 si iscrive alla Facoltà di Filosofia di Firenze, dove si laurea nel 1940. Tornato a Lecce, con Oreste Macrì, cura la terza pagina di ‘Vedetta Mediterranea’, poi collabora a ‘Letteratura’, pubblicando le prime poesie, aderisce al movimento ‘Giustizia e Libertà’ e si inserisce in ‘Libera Voce’.
Nel 1946 si trasferisce in Spagna come lettore d’italiano e poi antiquario. Nel 1950 rientra a Lecce e dopo due anni ha la cattedra di Letteratura Spagnola presso l’Università di Bari. Nel 1954 fonda ‘Esperienza Poetica’ che vive due anni. Continua ad avere rapporti stabili con il Salento, anche se negli ultimi dieci anni si è trasferito a Roma, dove muore il 19 dicembre 1970.
Bodini ha dato vita ad eccellenti traduzioni del Don Chisciotte di Cervantes, del Teatro di F. Garcia Lorca e di I poeti surrealisti spagnoli, tutte uscite con Einaudi, è autore di numerosi scritti in prosa, via via dimenticati, ma oggi riscoperti grazie all’attento lavoro della casa editrice Besa e del docente universitario Lucio Antonio Giannone, ma soprattutto Bodini è autore di pochi, ma preziosi libri di poesia.
Da ricordare La luna dei Borboni (1952), Dopo la luna (1956), Metamor (1967) e Poesie (1972, postuma), raccolta di testi uscita per Mondatori e negli ultimi anni ripubblicata da Besa. Una corretta interpretazione della poetica di Bodini si può effettuare considerando la  continua attrazione tematica del sud.
Proprio questa necessaria dimensione memoriale allontana Bodini dall’oscuro ermetismo post guerra, avvicinandolo ad una struttura in versi più vicina alla testimonianza:«Un paese che si chiama Cocumola / è / come avere le mani sporche di farina / e un portoncino verde color limone. / Uomini con camicie silenziose fanno un nodo al fazzoletto / per ricordarsi del cuore. / Il tabacco è a secare, / e la vita cocumola fra le pentole / dove donne pennute assaggiano il brodo».
Esempio questo testo della polarizzazione bodoniana tra le maglie ispide dell’oscura significazione ermetica (i primi 4 versi) e il ritmo più agile e distensivo che si percepisce nella delineazione di un ricordo ( come dimostrano i versi successivi).
Ma il sud, l’estremo lembo di terra nel quale Bodini ha vissuto gran parte della sua esistenza, è anche tema denso di tristi riflessioni e di dolori esistenziali lancinanti: « Qui non vorrei morire dove vivere / mi tocca, mio paese, / così sgradito da doverti amare; / lento piano dove la luce pare / di carne cruda / e il nespolo va e viene fra noi e l’inverno.// Pigro / come una mezzaluna nel sole di maggio, / la tazza del caffè, le parole perdute, / vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano: / divento ulivo e ruota di un lento carro, / siepe di fichi d’India, terra amara/ dove cresce il tabacco. / Ma tu, mortale e torbida, così mia / così sola / dici che non è vero, che non è tutto. // Triste invidia di vivere, in tutta questa pianura / non c’è un ramo su cui tu voglia posarti».
Bodini è poeta dalla sensibilità estrema, supremo cantore di un sud mitico, ancestrale, ma, nel contempo, limitante e castrante. I suoi versi sono tra i migliori prodotti della poesia meridionale del Novecento e si spera che la critica letteraria presto renda merito ad una voce che il peso del tempo ha seppellito senza giusta ragione”

(da: Rossano Astremo, Vittorio Bodini e la triste condizione della dimenticanza)

15 risposte a “In Apulien, 4 – La luna dei Borboni”

  1. “un cavallo sorcigno”, una amara e trattenuta invettiva su una terra madre e matrigna;colpisce la precisione estrema della parola, usata come uno scalpello sulla carne viva di una dolente cultura

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  2. che meraviglia. altro non so dire, anche se su Bodini avrei da dire vista la mia passione per gli “esclusi” e perciò “migliori” degli inclusi, ma soprattutto per quelle “Tracce di una compresenza poetica” con Penna come le ha indicate Giuseppe Moscati in un suo saggio che poteva essere altra cosa se non ci si fosse limitati a Pecora (per Penna) e Macrì (per Bodini).

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  3. Tutti i vostri commenti, di cui vi sono grata, mi confortano nella mia convinzione circa la forza e l’incisività della poesia di Bodini. Fabio Michieli indica, menzionando “Tracce di una compresenza poetica” di Moscato, un percorso di lettura che seguirò senz’altro. Quanto ai collegamenti tra Vittorio Bodini e Oreste Macrì, mi permetto di riportare due estratti dal saggio di Gino Pisanò del dicembre 1992 “Lo ‘spazio’ creativo di Oreste Macrì: “Verrebbe da dire che Bodini (come Landolfi nella narrativa) scrisse forse quello che Macrì avrebbe voluto scrivere, sicché ancora una volta il critico magliese-fiorentino sembra aver deputato ad altri il ruolo creativo per riservare a se stesso il sentiero della critica militante “forte di una preparazione filosofica invidiabile e di una ‘terrestrità’ meridionale che fa di lui per molti versi un contrappunto perfetto allo spiritualismo ‘nordico’, tutto débat interiore, del ligure Bo” (Langella)”, Pisanò ricorda in nota ” la polemica che si accese fra Macrì e Bodini nei primi anni Cinquanta. [..] n cui B., recensendo l’Antologia di Anceschi e Antonielli, aveva punzecchiato Macrì accusandolo di chisciottismo per essere rimasto fedele alla generazione ermetica di cui “credeva” che potessero “persistere” esperienza e definizione “col semplice mutamento d’etichetta in quella di neosimbolismo” [..] Pronta la replica di Macrì [..]: “L’ultimo caso di evasione dal corpo e dall’anima della anzidetta generazione è quello di Vittorio Bodini. [ … ] Se altri esiste, che si è scaldato e pasciuto al cibo e al fuoco di quegli anni, che per l’esperienza ermetica [ … ] s’è macerato e l’ha perfino diffusa in provincia e all’estero, è questi proprio Bodini. Il cui ultimo esito poetico concresce senza soluzione sulle prime prove” [..]. Replicò a sua volta Bodini al “Capo del Personale ermetico” che si assumeva “il compito di fare il cane da pastore del gregge ermetico” contro i transfughi (leggi Quasimodo) o presunti tali: “[ … ] Nella nostra presente inimicizia fraterna [ … ] dirò non per fargli dispetto, né per modestia, ma solamente per ristabilire le proporzioni, che nell’esperienza ermetica io fui un personaggio di terzo e persino di quarto ordine” , [..]. La controreplica di Macrì non tardò ed estese il campo del dibattito al metodo delle generazioni e all’antologismo [..].

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  4. Grazie Anna Maria di questa preziosa. documentata, ricca di spunti e riferimenti, sulla poesia di Bodini (Io ancora mi ricordo i versi dentro “Pugliamondo”). Un abbraccio caro.

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  5. è vero, Margherita, i versi di Bodini in “Pugliamondo” rivestono il ruolo di epigrafe. Scelta quanto mai felice e significativa. A te giunga il mio abbraccio e il mio grazie per la tua lettura sempre attenta.

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  6. mi preme chiarire una cosa: il saggio da me citato è una mezza porcata per i limiti vistosissimi e esibiti senza pudore (a sua insaputa) dall’autore.
    ma è cosa reale che ci siano dei legami/mutuazioni in Bodini provienenti da Penna: formule, immagini e figure stilistiliche (in Bodini le ripetizioni sono dello stesso tipo penniano e non sono riconducibili ad altro).
    me ne accorsi mano a mano che Besa ridava alla luce l’opera di Bodini (ce ne fossero di editori illuminati così)

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  7. Chiarimento importante il tuo, Fabio, arricchito da una boutade – la spudoratezza “a sua insaputa” – che rivela di essere più di una semplice boutade. Il percorso di lettura che suggerisci è, come mi è capitato di scriverti in occasione del tuo saggio su Penna, impegnativo nel senso a me caro del termine, perché richiede confronti, scelte, prese di posizione che hanno un carattere insieme vincolante e argomentato. Su vincolo e argomentazioni circa “legami/mutuazioni in Bodini provenienti da Penna” si aprono spazi per un tuo contributo. Ti rivolgo qui non un guanto di sfida, ma una richiesta Quanto alla casa editrice di Nardò, che apprezzo non solo per la sua collana “Bodiniana”, ma anche per la sua vocazione ‘plurale’ e lo sguardo aperto alle culture del mondo, condivido pienamente il tuo auspicio.

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