Da “RSVP” di Alessandra Cava, Polimata 2011

Alessandra Cava, rsvp (postfazione di Cecilia Bello Minciacchi), Polimata 2011

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«The Past, then, is a constant accumulation of images. It can be easily contemplated and listened to, tested and tasted at random, so that it ceases to mean the orderly alternation of linked events that it does in the large theoretical sense». [Ivan Veen, The Texture of Time]

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in sorellanza sono gli anni gentili, sono gli anni, indicativi
presenti, muscolo lingua che sbava disegni sull’incanto dello stare
dove i muri si incontrano, nel tutto finito e oltre, e
oltre neppure un suono: il sottoscala non ha porte, non si slacciano
i polsi, non chiama nessuno, nessuno muore –

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tu sei l’occhio, sei tutto l’occhio che sei, sei la lente,
l’obiettivo, il confluire dello sguardo, canale, sei l’immagine
immobile, immobile prospettiva sei, il non svanire –
io sto in ritratto nitido, io sto scolorata, saturata, messa
in luce, dentro i quattro lati, io sto in quattro lati buoni,
sto buona nei lati affilati, negli angoli retti dell’impressione,
sto in pezzi senza memoria nei cassetti, tacendo, io sempre
tacendo, io sempre, mai una parola, mai una parola buona –
eppure noi siamo ancora in carta, in mobile fissità, siamo in
questo spessore di carta, in leggerezza nel peso della carta –

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amore durissimo, articolarsi delle ossa, scorrevole
rotolarsi delle ossa dalla pelle, solitarie per quel loro esitare
la diramazione, incantare, mettersi nel canto, mettersi
tutte nel canto, nell’aspro canto del sangue, nell’angolo
appuntito dei nervi, nello schiocco delle membrane, nelle aritmie,
nella violenza delle arterie, per quel lasciarsi ricoprire, isole
bianchissime nella carne, per la loro modestia di impalcatura,
di scheletro schivo, di lungo fiore sotterraneo, di radice –

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Alessandra Cava è nata nel gennaio 1984. Vive a Bologna e fa parte di Altre Velocità, gruppo di osservatori e critici delle arti sceniche. Suoi testi poetici sono comparsi su «Il Verri» e «Alfabeta2». rsvp è la sua prima raccolta.

5 risposte a “Da “RSVP” di Alessandra Cava, Polimata 2011”

  1. una scrittura forte e fragile insieme, ispirata e compatta, che indica la strada per andare oltre la poetica inflazionata e stinfia del lacerto fine a se stesso, verso un nuovo romanzo dell’io tra le cose, dell’io nella sua casa, l’io e i suoi racconti che chiedono un principio ordinatore (quantunque impossibile) (ma questo lo si capisce leggendo tutto il suo libro, che va letto tutto insieme). parole che si concatenano per principi alchemici di somiglianza, assonanza, simpatia e concordanza, più che per la logica del discorso corrente, in un flusso laicamente profetico del presente. una voce vera, capace di iscriversi in una costruzione meditata, da seguire con attenzione, brava Alessandra Cava” (Solo certe espressioni come “nel tutto finito” o il “sto in ritratto” mi lasciano perplesso, apparendomi manierismi gualtieriani che indeboliscono più che rafforzare…)

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  2. il muscolo-lingua detta (nel senso letterale di diktat=voce “al lavoro”) l’incedere -ma soprattutto lo spaziarsi- del tempo.
    un tempo sur-reale (che si pone al di sopra della realtà) sovraccarico e surdeterminato in un qualcosa che non ha un suo “luogo” specifico e che a ogni fissaggio giustappone una dipartita e, per certi versi, una sorta di delocazione del significante.
    difatti, tramite l’espediente (urgenza?) dell’enumerazione e del palinsesto, il significante si moltiplica nella serie dei “possibili”.

    ogni gesto che nel suo apparire si sottrae a se stesso (seppure moltiplicandosi) è -sempre e comunque- poesia

    per quello che mi riguarda proposizioni come “e / oltre neppure un suono” e “tacendo, io sempre / tacendo, io sempre” non rappresentano aborti o castrazioni e trovano il loro (in)naturale correlativo in “mettersi nel canto, mettersi / tutte nel canto”, ovvero: da un lato una sorta di canto del silenzio (“rumore senza fondo” / “brusio della scrittura”) e dall’altro lato -per decisiva e necessaria contrapposizione- in quello che si potrebbe definire “docile attrito” (“scorrevole / rotolarsi delle ossa dalla pelle”).

    il tutto all’insegna di una leggerezza di fondo, di una tendenza alla volatilità, che non è da intendersi solo nell’accezione della dispersione, ma anche e soprattutto della migrazione, della volontà di determinare (e surdeterminare) il passaggio, il transito, l’attraversamento.

    naturalmente bisognerebbe leggere il libro per intero

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