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Venezia 2050 di Anna Toscano

Venezia 2050

I veneziani non ci sono più, andati via tutti, troppe spese, troppi costi, troppa arte, troppi turisti, troppo umido, troppa quiete, troppo chiasso, troppa pietra, troppa afa, troppo freddo, così tutti gli indigeni, con tutte le loro lamentele, se ne sono andati portando con sé anche l’ultimo souvenir di vetro che tanto “o se vende anca in teraferma”. Nulla hanno lasciato al povero foresto, che senza negozi di ninnoli non sa che farsene di questa città. Tutto chiuso, nemmeno un intimissimi per un paio di mutande. Solo e abbandonato, a nessuno oramai l’angelo d’oro del Campanile di San Marco, rutilante al sole, fa con le sue braccia aperte una promessa di gioia.

Man mano che si svuotava la città il passaparola verso la terraferma non presagiva nulla di buono, proprio nulla di buono, la iattura di bocca in bocca prendeva piede. Bastò infatti che due anziani locali finissero al pronto soccorso con una forte congiuntivite, e la forte congiuntivite unita alle cateratte portò a una quasi cecità… Bé, sapete come funziona da queste parti , per la città diventarono ciechi, ma come se ci vedevano bene fino a un momento prima, ma ciechi ciechi, forse ad avere sempre tutta questa arte attorno, che faccia male? Forse sì, tanta arte fa diventare ciechi. I veneziani se lo sentivano sulla pelle, “ciò”, che nel 2050 la città sarebbe stata un manicomio per ciechi, tanto valeva andarsene il prima possibile. Così Venezia non sarebbe più esistita agli occhi di nessuno. Lo disse molto tempo prima anche un esimio docente universitario.

E così la paura, madre di molte insensatezze, attecchì anche sui più recidivi. Solo qualche anziano locale diffidò, da vero diffidente, di tanto cianciare e rimase. Ma morì di fame perché i negozi non aprirono più, in terraferma per la spesa non ci potevano andare, i trasportatori scambiarono grosse barche con grossi camion e andarono oltr’Alpe, i gondolieri traghettano le eterne brutte copie di Stelio e Foscarina sulla Riviera del Brenta e i tassisti giurano a tutt’oggi che son tornati alle origini lavorando sul Brenta. Anche il turista più scanzonato non sa che farsene di tanta arte a cielo aperto e i musei nessuno li apre più, proprio ora che si potrebbe dormire tranquillamente in sacco a pelo in piazza san Marco e nuotare in canal Grande, proprio ora nessuno lo fa. Nessun rumore, nessuna campana che suona, solo qualche vaporetto automatico, senza la sua Zazie, sfreccia ancora incurante del vuoto che lo circonda nella laguna del nulla nel 2050. Nessun Giorgio che attende lo zio Marco per importanti rivelazioni sulla famiglia, fili invisibili, e tanto sottili, non restano a nessuna Buranella. Venezia, caro Francesco, non è più imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità. Venezia non cade più scialba sulla retina di qualcuno come su di uno schermo di lontano, e poi Robert e Caroline non sono più tornati dopo l’efferato delitto. Unico frusciare è quello dei gatti che finalmente dopo decenni di grande sterilizzazione di massa, ritornano, e ci vedono tutti benissimo. Si cibano dei buoni vecchi topi, così come ogni bella favola esige, e non più di spazzatura umana che non esiste più qui, nemmeno un sacchetto per strada, nemmeno una bottiglia galleggiante, nemmeno una cacca di cane. Corre voce che gli abitanti di questa città camminassero sull’acqua e che addirittura avessero i piedi palmati . Qualcuno avrà ereditato siffatte caratteristiche? L’acqua fa da padrona ora nel 2050 e, finalmente, può circolare liberamente nei giorni di luna piena e scirocco, invade tranquilla e pulita e se ne va, e la città si lascia piacevolmente lambire e impadronire divenendo così una grande e unica area Scarpa.

La stazione dei treni è stata smantellata, troppa bellezza anche solo dal treno fermo a Santa Lucia, e, come la santa già visse con il martirio, si rischia di restare senza occhi con tutta questa arte. Per i coraggiosi c’è solo un binario, si ferma a metà del ponte della Libertà per chi decide di fare un viaggio immaginario sull’Orient-Express verso Samarcanda.

Nulla rimane, l’esimio professore aveva ragione nel 2005 quando disse, scrutando profeticamente il cielo fuori dalla finestra, “Venezia nel 2050 non ci sarà più”, ma stava pensando a ben altre parti mancanti del discorso. Non esiste più perché nessuno ha più occhi per guardarla, ma ha occhi per guardare altro. Non esiste perché è disabitata, vuota, forse inizia a vivere solo ora, o inizierà a esistere solo quando morirà l’unica persona aggrappata a essa, innamorata di tanta bellezza, che tutte le mattine d’inverno respira l’odore estenuante delle alghe ghiacciate e ancora non cieca nonostante l’età. Sono io. È il 2050 e ho 80 anni, da compiere. E, finalmente, sono la regina della città, perché è un autunno veneziano e sarà vera e calma felicità mia.

Anna Toscano

Un ringraziamento, in ordine di comparizione, per nomi e ispirazione a Proust, Saramago, D’Annunzio, Queneau, Pasinetti, Bianca Tarozzi, Guccini, McEwan, Winterson, Carlo Scarpa, Tabucchi, Brodskij, Cardarelli.

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Nota: Racconto pubbicato nella rivista  “Venice is not sinking” numero 2

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Testo e immagine di ANNA TOSCANO

8 risposte a “Venezia 2050 di Anna Toscano”

  1. è bellissimo, davvero.
    credo che apra davvero gli occhi, a differenza della cecità che imperversa nel racconto.
    a questo mondo che fagocita tutto.
    venezia così ha un che di mad max…anche se non così violento.

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  2. – a qualcuno dovranno pur servire le ‘città morte’ – (cit.). sì.
    adoro almeno due cose di Venezia che tu cit:, una è la bellezza che ogni giorno calpesto, colgo, alle otto del mattino, d’estate, d’inverno, mentre cammino verso l’università: credo nessuna città del mondo (per scarsa esperienza di visita ma anche perché è così, lo si sente sulla pelle e dentro) possa darmi lo stesso brivido, quella bellezza estrema, accecante, di cui tu parli. Questo forse lo pensiamo un po’ tutti, ma occorre ripeterselo.
    L’altra cosa, o doppia cosa, è il suo essere senza tempo e profondamente decadente: quanta bellezza dietro a queste due caratteristiche, che ci restituiscono la sua unicità.
    Spero ascolterai/ascolteremo ancora Heroes di Bowie a 80 anni, che fa un po’ da colonna sonora, sul tuo finale.

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  3. “si rischia di restare senza occhi con tutta questa arte”. Già.

    L’ho letto diverse volte questo racconto, ogni volta mi muove qualcosa dentro e mi restituisce qualcos’altro.

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  4. Bellissimo e.tragico.Mi è arrivata la stessa inquietudine che scaturisce dall’indifferenza e dall’egoismo presente nel libro cecità,solo, con meno parole!

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