“ispirandomi all’opera di Boris Vian e di Raymond Queneau”
Nuove parole (giugno 2005)
“Autoritratto ?”
Il giovane pachiderma gentile non era uso adirarsi, quando lo cercavano per un aiuto nella foresta, per spostare qualche tronco oppure per rivoltare le foglie dall’erba per renderla appetibile, egli si mostrava sempre disponibile.
Era buono per natura sebbene talvolta fosse un po’ lento nell’esecuzione di qualche incombenza: della sua proboscide si diceva in giro un gran bene. Ma un mattino si svegliò e trovò metà della prateria dove dormiva invasa dalle locuste, brutte belve affamate e loquaci, esse si impadronirono di buona parte della sua radura. Si vide dunque costretto a ritirarsi in una piccola insenatura del fiume che attraversava la foresta e dove viveva una anziana anaconda.
L’anaconda l’accolse con piacere: aveva giusto bisogno di una mano per spostare qualche grosso sasso e masso che, con la prossima piena del fiume, così riteneva, avrebbe sicuramente investito l’imboccatura del suo piccolo stagno. L’anaconda pregò quindi l’elefante di aiutarla nell’impegnativa impresa e di buona lena si misero assieme all’opera: chi per acqua, chi in terra.
Passarono due giorni di lavoro intenso e riuscirono a ricavare non solo un ampio bacino d’acqua, attiguo allo scorrere principale del fiume, ma anche un comodo fazzoletto di terra, fango e morbida coperta di foglie per l’elefante.
Vissero da quel giorno in poi come nella più classica delle fiabe, felici e contenti. Delle loquaci e aggressive locuste non si seppe quasi più nulla: pare che una folata di vento gelido del nord, dicono tramontana, le portò tutte via, le costrinse a migrare.
***
***
“Sei personaggi in cerca di un bar”

Tra la folla domenicale, che affollava allegra e chiassosa il parterre della torre Eiffel, oggi vidi dall’alto, essendomi sporto dalle balconate del primo piano, sei persone vestite all’unisono ognuna delle quali si aggirava in modo assai poco caotico nei giardini antistanti la torre. Essi, difatti, disegnavano diverse figure geometriche, tutte a sei lati e vertici. All’inizio mi parve di scorgere una figura a farfalla “isoscele”, ossia composta da due triangoli isosceli identici uniti ad un comune vertice. Lì, nel punto d’unione, due dei sei personaggi si incontrarono e si scambiarono reciprocamente il saluto alzando lievemente la piega della bombetta. Ecco!, dimenticavo giusto giusto di dirvi che tutti e sei erano facilmente riconoscibili a causa del loro completo scuro, del soprabito grigio, della farfalla color argento al colletto e della bombetta stile anni ’30 o ’40 con una striscia verde alla base che portavano fieri e baldanzosi quasi a voler imporre la propria identità in maniera più che manifesta.
La loro danza, quasi impercettibilmente avvertita dalla folla sottostante, era invece palese ed evidente per chi, come me, si trovasse a godere del magnifico panorama di Parigi alle undici del mattino di un bel dì di Maggio dall’alto della torre. Il loro procedere divenne ancor più evidente quando, all’interno della loro litania di gesti, comparvero prima una figura esagonale equilatera e, poi, un ottagono con due coppie di vertici opposte unite. La ricognizione del loro ordinato scivolare tra gli astanti mi prese un po’ alla sprovvista e mi spronò a domandarmi se ve ne fosse un recondito motivo. Un’occhiata veloce a destra e a manca sulla balconata fugarono il mio primo sospetto: che si trattasse di pura televisione (ovvero fiction) o di una trovata pubblicitaria o quant’altro?…
Macché!, dal primo piano della torre non si vedevano da nessuna parte né telecamere né operatori né il normale caos che una troupe cinematografica o televisiva si porta usualmente appresso, gruppuscolo di liberi sfaccendati e stereotipati curiosi annessi.
Ritornai con gli occhi d’abbasso: non potevo quasi crederci!, in un niente i miei sei personaggi erano diventati sette e, come i primi sei, stavano ora costruendo tutta una serie di figure a sette lati: ettagono equilatero, pentagoni perfetti accostati per un lato a triangoli isosceli o scaleni, rombi doppi uniti ad un lato e così via: una innumerevole benché finita congenie di variazioni sul tema si dipanava lì di fronte. Decisi allora di richiamare l’attenzione di qualche altro turista rimasto come me ammaliato dalla vista di Parigi in quel bel mattino terso e primaverile. Ma senza risultato! Riconoscevano taluni, sì!, le sette figure ugualmente vestite, ed altri, forse dotati di più inventiva, si spingevano a fare scommesse nel riconoscere le varie forme disegnate, ma nessuno sostava ad osservare le loro evoluzioni per più di una decina di minuti.
Forse indispettito da tanta indifferenza mi diressi verso gli ascensori determinato a raggiungere il secondo ed ultimo piano della torre: desideravo quanto più possibile carpire dall’alto queste magnifiche, quasi altisonanti, proiezioni di figure, questo fenomeno, ed esser sicuro che non vi fossero telecamere in azione a parte quelle del normale circuito di videosorveglianza della torre stessa.
L’ascensore, colmo di gente come ogni domenica, sussultò sotto il peso di tanti turisti ma, alla fine, ci depose sicuramente al secondo piano. Uscendo, il mio primo impeto fu quello di percorrere velocemente la balconata alla ricerca di camera-men o fotografi professionisti all’opera con il loro abituale allampanato ventaglio di zoom, teleobiettivi e grandangoli.
Ma niente!, nulla di tutto questo.
Rimasi ancor più di sasso a constatare che, da basso, i personaggi erano adesso otto. Congruamente, le loro disposizioni tra la folla dei giardini ora contenevano otto lati ed otto vertici e, qualora due vertici si avvicinassero o si sovrapponessero, al crocevia avveniva un impercettibile scambio di saluto.
Che strana usanza… un rapido gesto, uno sguardo consenziente, un accenno di sorriso e l’immancabile lievissimo sollevarsi ed abbassarsi della piega della bombetta. Dopodiché ripartivano per la prossima figura. Tra l’altro, la folla di gitanti domenicali non era di piccole proporzioni, bensì assai folta, eppure questo gruppetto di persone folkloristicamente vestite attraeva soltanto la mia attenzione. A tal punto che avrei voluto gettar via i miei vestiti, banalmente in stile “casual”, e unirmi a loro, sempre che trovassi il loro fornitore di uniformi.
Eppure, eppure… ancora qualcosa non riusciva a convincermi del tutto. Qualcosa nei loro gesti e nelle loro sembianze mi pareva estremamente artificioso e di palpabile inconsistenza (come se ciò fosse possibile!). Beh!, non sapendo che fare, avendo tuttavia abbastanza tempo a disposizione, mi apprestai all’attesa seduto tranquillo in un cantuccio sulla balconata, mangiando un panino acquistato al bar e continuando ad osservarli.
Si fecero le quattro del pomeriggio, passarono in totale cinque ore ed il gruppo dei “bombettavestiti” crebbe di una unità soltanto. Nove.
Evidentemente al crescere numerico dei partecipanti le combinazioni di figure andavano moltiplicandosi esponenzialmente. Non le vidi proprio tutte, alcuni miei ovvi fabbisogni mi costrinsero a qualche pausa, ma mi parve proprio che essi andavano coscienziosamente esaurendo tutte le figure possibili per un dato numero di vertici.
La torre chiudeva al pubblico alle cinque del pomeriggio, quel giorno pare vi fossero ancora dei lavori di restaurazione da portare a termine nella nottata.
L’inserviente di turno mi obbligò a prendere l’ultimo ascensore per la discesa. Con mio grande stupore e somma sorpresa trovai soltanto un altro visitatore che scendeva con me con quest’ultima corsa dell’ascensore. Era un vecchietto sorridente, espansivo, cordiale e di bassa statura, ma il mio stupore derivava dal fatto che egli fosse vestito in maniera identica alle nove persone da me lungamente osservate durante la giornata. Tutto coincideva tranne che per un’unica pertinente differenza: la sua bombetta portava una striscia azzurra anziché verde. Inoltre, egli portava con sé un treppiede da pittore ed una tela appena dipinta.
All’inizio della discesa esclamò d’un botto, sorridendomi: “Guardi un po’ lei che bella Francia che stavo ridisegnando!”, e mi mostrò immediatamente la tela raffigurante tutti e nove i visi da me scorti nei passeggiatori-camminatori-disegnatori visti nei giardini antistanti la torre. Sullo sfondo del dipinto campeggiava in modo trionfante una di quelle tipiche immagini a strisce azzurro-biancorosso della Francia come se fosse un pentagono patriottico.
Non appena fummo scesi entrambi dall’ascensore, al pian terreno, mi accorsi prontamente che i nove volti a me ben noti eran spariti. Non solo, anche l’intera piazza si era fatta deserta con pochissime persone che l’attraversassero. Comunque, il signore dalla bombetta azzurra ripose con cura la tela che mi aveva esibito e, salutandomi assai gentilmente, si allontanò fischiettando giulivo in direzione dei Champs de Mars.
“Che matto!”, pensai, “come se in Italia una cosa del genere fosse possibile!”.
Rimisi i miei occhiali da sole nell’astuccio e mi avviai verso casa, stupidamente riflettendo fra me e me se quel signore avesse voluto in una qualche misura rifarsi a Magritte ed ai suoi quadri.
“… ma no!”, mi dissi, “questo non è umanamente possibile!”, e mi disposi alla ricerca delle chiavi giunto fin sul portone di casa mia.
***
***
Poesie 1988-1990
Tra due pietre si scorge un filo steso,
a terra descrive una curva.
Tre ramoscelli allineati sul terreno argilloso fan da rettilineo,
il traguardo è segnato da una piccola concavità naturale.
Tante formiche seguono questa traccia,
una sola, più furba, le aspetta all’arrivo:
si gode beata la corsa.
Un’altra invece,
forse non ha capito il gioco,
forse fa un dispetto,
procede in senso inverso.
Ed ecco, son arrivate,
le prime sospinte dalle ultime,
tutte in corsa,
capitombolano nella buca.
Al predatore, che paziente aspetta,
vuol poco l’imprigionarle.
Soltanto due si salvano
la più furba e certo la più stupida,
ma non si sa chi per merito chi per difetto.
<Gran premio>
*
Lampi di genio
o parvenze fors’anche estrose
di genuina incompetenza?
La risposta, vera, una, manca:
è quasi assurdo
nel più credibile dei modi.
<Poesia>
*
Il bimbo le dona dei fiori, fiero.
Lei li guarda,
poco convinta,
un po’ indecisa,
poi dice: “portamene altri”
ed è così da tutta una vita.
<Amaro>
*
Il saggio e la vita.
.
La vita disse:
“vivo e mi piace”.
Il saggio ne venne colpito, rispose:
“tu vivi?, e come?
tu vivi?, e dove?
tu vivi?, perché?”.
.
Una pausa.
.
Un soffio e la vita riprese:
“vivo e mi piace
vivo e rido
vivo e corro
vivo e vivo
nel piacere di essere,
nel piacere di dire.”
.
Il saggio, stordito, scosso, quasi sorpreso,
distolse lo sguardo da un fiore, dal mare
e visse come mai aveva vissuto, immortale.
.
Il saggio, amareggiato, turbato nell’aspetto,
indispettito, levò ben lo sguardo e disse,
senza sorriso:
.
“pensare a che serve, pensare fa male, il respiro non regge
oltre questa fantasia, ipocrita, mortalmente reale”.
.
Il saggio, non più saggio, non più uomo,
da una vicina rupe spiccò il salto
per varcare il confine di là dall’orizzonte.
.
Solo, solo, solo, solo,
solo come in un sogno.
<Pazzia>
*
Mi piacerebbe averne
una critica spietata e feroce,
arguta e acuta,
in sostanza…
una critica panciuta.
*
Se per comunicare tra noi
una maschera, una qualsiasi,
sovrapponi al tuo pensiero
e mi dici:
“io son così,
tu sei altro: parliamo…”
non resterò – vedrai – ad ascoltarti
un istante neanche.
<Tra noi>
*
E a questo punto
egli rise:
d’un ghigno rauco, stridulo, garrulo.
Mi fermai,
mi voltai,
stetti a guardarlo,
intenso.
Dopo un po’ la smise
e mostrandomi le spalle
si avviò,
mani in tasca,
verso la città.
Io rimasi,
al solito,
a zappar le zolle:
a seminare il mio odio.
<Improprio>
*
Volava la farfalla,
leggiadra e bella,
ma stronza.
<Contrarietà>
*
*
Un verme color marrone
si aggirava sconsolato
nei pressi d’un burrone,
conscio del suo fato.
“Perch’io mi trovassi
in codesta sgradevole situazione,
senza speranza,
ai limiti di un burrone,
che feci, poi, di male?
A cosa venni meno?
Quando mai violai
legge alcuna di stato?”
Così disse e una farfalla
discesa dall’alto, dai cieli:
“O misero mortale,
che ti lamenti a fare?
Domanda come questa,
è ovvio,
non avrà risposta!
La tua fede,
come ne hai,
è certo mal riposta!
Cadi, dunque, è ben destino!”
E come ebbe parlato
ella si trasse a lato
e levò di tanto imperio il grido
che all’ape frattanto accorsa ingiunse:
“O ape, o guerriera,
ascolta la tua regina
e a questo verme,
che tanto ha osato,
fa’ fare una fine meschina!”
…l’ape,
irata,
scontrosa,
stranamente animosa,
punse il verme
che cadde giusto su una rosa
e poi di lì giù giù per il burrone.
Cadde il verme e spiaccicato e rappreso
si vide il suo corpo in fondo all’antro disteso.
“Superficiale!”
commentò la talpa,
intenta tutto il dì a scavare.
<Superficialità>
*
Finestre
aperte sul cortile
aspettano pazienti,
le persiane sporche,
sbatacchiate qua e là dal vento,
il proprio turno al sole.
Finestre
d’ampi vetri puliti
che danno l’impressione
– soltanto quella –
a noi reclusi in comoda prigione
d’essere a contatto stretto
con una vita che a tratti appare,
si muove,
sul ciglio della strada,
nel nostro cortile.
Illusione
in debito di troppa speranza.
<Finestre>
*
Oggi sedevi, altera ti ergevi
sopra la sedia, fuori.
Col fiato sospeso, ritratto,
guardavi d’intorno i compagni contenta d’esser desiderata.
Primaverile bellezza dei tuoi seni,
rigogliosi in novelle vesti.
E guardavi, compiaciuta e superba d’essi,
con gli occhi socchiusi.
I miseri!
Ma nella visione mi scosse il pensiero:
ti vedevo, io, nel sole, non come oggetto d’amore,
soltanto effimero argomento di sesso.
<Una ragazza>
*********
Banalità
Spero che tu non possa che rider di cuore
se non d’altro che del mio sincero amore.
<rima difficile>
*
Vorrei perpetrare un efferato scempio
d’ogni tuo concetto ed idea, sentimento
razzia a man bassa fare, possederti, averti
e d’ogni tuo lamento gioirne empio.
Perché tutto questo silenzio?
<Passione abrégée>
***
“Abbracciami (o dove si trova il non-sense?)”
E ritrosia mi parve la tua
ad ammettere un amore
senza colpe né dolore.
E insipienza fu forse la mia
a non cogliere i tuoi sospiri
a non credere ai tuoi sentimenti.
Vorrei carezzarti il seno,
abbracciarti con forti braccia,
saperti ancora vicina e sicura,
saperti amica e non solo sarta
intenta a ricucire i brandelli dei miei desiderî.
Vorrei molte cose dirti od insegnarti,
quasi che il tempo nostro proprio (???)
viaggiasse a velocità luminifera (???)
tanto grande da dilatare una vita
in un eterno inseguirsi di momenti felici,
di gioia.
Abbracciami, abbracciami per una volta ancora.
***
You Mood?
I Mood.
Everybody bleeds
on the fallen to pieces glass of reminiscence
futuristic alley of our dictionary
of broken words (net yet swords, I hope)
what about a rope, instead,
where to stick our little frail desire messages
of renewed interests and welcome.
Who knows…
.
till now, just kisses of well sleep and a nice night!
.
23.07 GMT+1 2007.04.10 – bleethinking
*
Non aspettarti una telefonata domani,
anzi, non ti aspettare proprio nulla,
torna pure alla tua vita
senza rimorsi né pentimenti
non perdi nulla di interessante
non acquisteresti nulla di conveniente
resta pure con il tuo vuoto interiore
avvinto alla chimera dei tuoi bisogni materiali,
il resto non conta.
“Riflessione”
Una replica a “[inediti] – Federico Strati – poesie e prose (post di natàlia castaldi)”
Prosatore eccelso, da gustare in ogni snodo di suono e di senso. Fa piacere imbattersi in inattese epifanie dell’intelligenza, fatte paragrafi e simboli intercomunicanti in un unico flusso. Grazie della segnalazione! rob
"Mi piace""Mi piace"