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I costruttori di vulcani | Carlo Bordini

I costruttori di vulcani | Carlo Bordini
Carlo Bordini, I costruttori di vulcani (Tutte le poesie 1975-2010), a cura di Francesco Pontorno, 496 pagine Prezzo € 20,00

I costruttori di vulcani | Carlo Bordini
(Tutte le poesie 1975-2010)
Luca Sossella Editore 2010
a cura di Francesco Pontorno

 

Questo è un libro «cresciuto, stratificato, ingrossato con redazioni e versioni differenti, titoli che si ripetono, titoli di sezione che sono anche titoli di poesie», è «l’oggetto più emblematico del percorso poetico di Bordini; l’uso di tutte le proprie poesie come se non fossero proprie o come se fossero nuove – per esempio, spostandole […] da una sezione all’altra» (dalla prefazione di F. Pontorno). E Bordini così si pronuncia sulla quarta di copertina: «Per cominciare non ho rispettato l’ordine cronologico. Ho cercato di creare una struttura musicale, e con questo criterio ho montato il libro. Ma c’è qualcosa di più; ho cercato di dare forma a un libro nuovo, indipendentemente dal fatto che esso sia formato dalle poesie che ho scritto nella mia vita».
I costruttori di vulcani
appare quindi come una ricostruzione autobiografica dell’opera omnia del poeta, come il tentativo di ricreare una stratificazione della memoria.
Ma non è quel genere di rimaneggiamento che fu di Umberto Saba, è piuttosto un tentativo sincero di ricostruire i moti della memoria, con le sue sovrapposizioni, capovolgimenti, innesti, con il suo magma informe – ma formato da forme costanti. Un tentativo di registrare le sue misteriose forze telluriche.
L’io del poeta non è preponderante nella poetica di Bordini, tanto piuttosto lo sono quelle forze invisibili che agiscono, strisciando: sono i démoni della terra.
Non sbagliamo seguendo il consiglio di F. Pontorno, che ricerca le cause prime della poetica di Bordini nei dati biografici. Il curatore del volume cita una memoria del poeta:

Era come se mi sentissi un intruso. Era come se non sapessi esattamente dove dovevo stare e cosa doveva fare. Da bambino ero quasi catatonico. Era come se sentissi il bisogno di scusarmi per il fatto di esistere. […] Conosco uno scrittore abbastanza noto che non cammina, striscia; io strisciavo. Dopo imparai a ribellarmi strisciando.

Un io che striscia, insicuro. Un’identità sociale “debole”. Un “macchiavellismo fragile” di cui Bordini parlerà in Manuale di autodistruzione. Un’adolescenziale volontà di annullarsi che diventa poi il fuoco della rivolta:

Suicidio (da Sasso)

Nulla di ciò che è vivo mi interesserà
Sarà come non essere mai nato
Che è il mio sogno di sempre
Non ricorderò nulla.
Non ricorderò nemmeno di essere morto
Non saprò mai di essere stato vivo
E non saprò
Si averti amata
Gli altri si meraviglieranno
Si chiederanno perché.
Non capiranno.
Se sarò bravo
non mi accorgerò nemmeno del passaggio
Non ricorderò nemmeno di aver scritto questa poesia.

Forse è una sofferta morte dell’io, un morire a sé stessi (ma con qualche insicurezza, qualche remora) che rende il poeta «spietato, ironico cronista del vero». Ma è anche, addirittura, la poesia che muore a sé stessa, e morendo rivela la sua vera vita.
Forse rispondendo a Giorgio Manganelli (una sua cara lettura giovanile) – che si interrogava sul «perché scrivo?» e rispondeva «perché da piccolo non sapevo allacciarmi le scarpe» –, Bordini dice «io non scrivo, io sono scritto». La poesia scrive il poeta.
C’è in Bordini un grande Senso che manca a tanti poeti della sua generazione, spesso impregnati di ideologismo o nella ricerca di aride sottigliezze stilistiche, di autoreferenziali giocolerie del ricordo.
C’è in Bordini un vivere puramente la poesia, anzi – pardon! –  un lasciarsi vivere da essa.
Mauro Fabi scrive su Pericolo di un linguaggio «stupefacente che Bordini ha creato e che non ha riscontri nel panorama poetico italiano, un linguaggio piano, asciutto, pulitissimo».
Già Olivier Favier – che è anche traduttore di Bordini in francese – ha parlato di semplicità e oscenità nella poesia di Bordini, trovando interessanti legami con T.S. Eliot. Qui vorrei riuscire a mostrarvi un poeta «sgradevole, come solo la grande poesia sa esserlo» (T.S. Eliot parlando dei versi giovanili di W. Blake).
C’è in lui un’ ingenuo artigianato del verso, lì dove l’ingenuità è la virtù più grande che possiamo attribuire a un poeta; lì dove l’ingenuità è quella caratteristica che permette al bimbo di cogliere in flagrante l’oggetto, in tutta la sua pienezza e vitalità.
Così lo sguardo del bimbo scruta la vita in tutte le sue forme, con acuto ma misurato senso del gioco, con velocissima capacità sintetica e dialogica, con «irresistibile vocazione alla polifonia», dove persino le maiuscole e le minuscole – private del loro senso grammaticale – assumono valore semantico e tonale: sono gli alti e i bassi (F. Pontorno).

Spiegazione di me stesso (da Effimere)

Certo
mio padre
cercò
di fare di me un uomo
vale a dire
uno
capace di disprezzare gli altri
sei un poeta! – (mi diceva) …

io però
non sono mai diventato un uomo
e quindi sogno
quanto segue:
verrà
l’età della donna e del bambino
l’umanità femminile-infantile

questo non è il sogno di un poeta
state sicuri

D’altro canto c’è anche qualcosa che spaventa, che inquieta il poeta, in questa tenerezza infantile. L’ingenuità non è sempre virtuosa. L’osceno e la semplicità – come ha scritto O. Favier.

C’è qualcosa di osceno (da Città)

Noi che
siamo tutti rannicchiati nei nostri sogni
sappiamo che
C’è qualcosa di osceno nei sogni altrui
C’è qualcosa di osceno
che consiste nel fatto che i sogni altrui sono / assurdamente / e spaventosamente

uguali ai nostri
e svelano la vergogna
dei nostri sogni privati
[…]

oppure:

(da Mangiare)

odiamo i topi
perché sono
i nostri fratelli

Se di ecologia della letteratura si può parlare (per citare Giulio Ferroni in La passione dominante), mi piace scrivere di Bordini come di un’ecologia del verso, come d’un cercatore di verità in rotta verso un’ecologia del verso.
«Bordini impiega per i suoi testi materiale estraneo, scorie e altra scrittura apparentemente insignificante. Collage, innesto, inserto» (F. Pontorno): in questo ritrovo un tentativo di sintesi, di semplificazione, anche emozionale. Gli strumenti di questo tentativo sono le reti per il il colino della coscienza; sono la lentezza e la pigrizia.
Una lentezza contrapposta a una Città fatta di gesti sbagliati, abitudinari, goffi, maldestri, fatta di tic un po’ ridicoli, una pigrizia di chi è troppo solitario, / troppo introverso / troppo poco pratico / troppo poco sociale (da I gesti).
C’è nei collages di Bordini un desiderio di pulizia, una paura dei rumori.

(da Mangiare)

Mangiare troppo rende brutti e
grassi
ma c’è qualcosa di peggio
mangiare troppo rende laidi
perché
si imitano i topi e chi mangia troppo
è come un gigantesco
roditore
che consuma inopinatamente e senza
ragione
come un vigliacco
le risorse della terra
e la vita
altrui.
Consuma
cereali,
erbe
e per ultimo consuma inopinatamente
e senza ragione
le carni, gli altri, animali,
come un gigantesco sozzo roditore
e
questo
siamo noi
uomini dell’Occidente
grassi e ingrassati a
ingrassare, rodi-
tori enormi che
troppo mangiano
che tutto
mangiano
e condannano tutto il resto
della vita a
finire
nei loro stoma-
ci

8 risposte a “I costruttori di vulcani | Carlo Bordini”

  1. Con ritardo infinito dovuto alla mia inettitudine ringrazio Riccardo e tutti gli intervenuti. Grazie.

    Carlo Bordini

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  2. Un intervento critico fatto salvo dal “critichese” che mostra nascondendo e dice senza nominare . E una poesia umana , terrestre , che fa esperienza del vivere e la descrive . Poesia è questo , soprattutto questo .

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