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Bestie e dintorni | Amos Mattio

 

 

Bestie e dintorni, di Amos Mattio (Lietocolle), prefazione di Maurizio Cucchi

 

Bestie e dintorni di Amos Mattio

prefazione di Maurizio Cucchi


«Lo sguardo del poeta si fissa su realtà in apparenza di anche minima portata, ruba verità nel poco o nell’insignificante» – così Maurizio Cucchi nella prefazione a Bestie e dintorni (Lietocolle, 2004) di Amos Mattio, ne descrive il meccanismo poetico.
In questa sua prima raccolta poetica, Amos si muove tra insignificanti «dettagli, [ma] rivelatori di senso». Sono le energie sottili, quelle che evoca a servizio dei suoi versi, sono invisibili démoni dell’aria.
Il poeta/alchimista modula con attenzione ogni elemento del sistema: «Ti sei mai chiesto perché si va a capo?» – dice in un’intervista. Misura meticoloso le anafore, le assonanze e le rime interne: sono mille / giorni e ancora lento / scivola il riflesso sotto mille / coltri pesanti – e un pianto (da Scende una voce…).
Piega la notte in tante / lenti soffuse di vermiglio
(da Lenti di vermiglio), lenti che aprono al soggetto il funzionamento degli ingranaggi nascosti della grande giostra della vita. Ne risulta uno sguardo aereo, meditativo che attraversa l’esperienza quotidiana. C’è una sorta di “trascendenza per scivolamento” che si realizza avendo sommato sensazione dopo sensazione:


La giostra

Lento e volentieri, scivolare
giù dal sorriso, silenzioso
dimenticato e allegramente
correre in fuga. Il tempo
è in preda al gioco, fermo
sul seggiolino: gli occhi
sbarrati e stanchi, indefiniti
che girano per nulla e un punto
uguale da ogni lato. Ritornare
e piangere nel buio, vergognoso
e intirizzito, nella notte
che insegue il giorno e scivolare.

Una dimensione metafisica, quella di Amos, però non del tutto compiuta e composta. C’è di fondo un’inquietudine montaliana che lo lega alla terra, un’inquietudine di quella che si aggira solo in certi ricordi brevi e sparsi / che sfocano nel gorgo (da Franti precipitano il giorno…). Ma c’è anche una grande forza invisibile che riecheggia sottilissima, forzando con le mani intrise il gorgo (da Campi notturni), una volontà di superare la notte, di attizzare il fuoco della poesia.
Il non-luogo della sua poesia è nei dintorni dove un canto / sale le gocce e i rintocchi / notturni dei ricordi – batte l’ora / trepida del sogno (da Scende una voce…).
I doni del sogno sono visioni allo Specchio, immagini sintetiche e veloci, intime e surreali: sono le sue Bestie.
M.Cucchi in prefazione ricorda le Bestie di Federigo Tozzi.
Mi piace ricordare qui il “finto realista” Tozzi, di cui De Benedetti sottolineerà le forti corrispondenza col surrealissimo Kafka. È una poetica, questa e quella di Amos, che si aggira tra due poli, realtà quotidiana e simbolo onirico e archetipale, verità e sogno analogico.
È un’ antenna metafisica che riceve e rielabora le immagini del mondo, e il mondo per immagini sintetiche, ermetiche, solo apparentemente ed esclusivamente intime; immagini che si aprono a simboli di una «generale frustrazione umana» (De Benedetti).

Il cane lupo

Un pelo grigio lupo e un canto
addosso alla folla, li sostiene
il suono di una fisarmonica,
logoro di anni, note
gettate dall’altro nel cappello
insieme alle monete. Grida
il vecchio cane e gli brillano gli occhi,
e ridono di scherno nel ricordo
di una bottiglia buona, di una vita,
di un altro teatro… la gente
sorride e procede: la vetrina
copre i rumori. Il cane abbaia
qualcosa a una signora, ubriacato
di musica, e non sente il freddo – sembra –
ma guarda le facce, i capelli,
i baffi e il disappunto. Canta
in mezzo alla platea prima del buio
quello che vede e suona
per non guardarsi. Ieri sera
dalla vetrina un cane ha fatto un lago.

 

Amos Mattio è nato a Cuneo il 4 luglio 1974, vive a Milano, dove scrive e lavora nell’ambito della consulenza editoriale e della comunicazione. Suoi versi sono apparsi anche nell’antologia “Nuovissima poesia italiana” (Mondadori, 2004). Collabora con La casa della poesia di Milano e con la rivista Il Grillo.



19 risposte a “Bestie e dintorni | Amos Mattio”

  1. non sono “il professore”( mi hai confuso con un altro), sono Enzo, uno della selva che apprezza il tuo poetare;-)

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