Da poco ho avuto l’occasione di incontrare la poesia di Paola Abeni, colpisce per la freschezza rarefatta delle immagini , che si unisce all’incisività della parola. Una poesia che mette a nudo i sentimenti , crea suggestioni di natura, scintillanti visioni , luminose risposte. Buona Lettura.
Daniele Gennaro
*
Passando sconosciuti
luoghi, simili a un dove,
silenziosamente scendo.
Immagino settembre, pozzanghera di sole sul mondo, tepore disorientato dal vento e ancora vento a far passare fruscii nelle vicine stanze. Settembre nelle parole del bosco, quando le ombre chiedono le loro braccia. Contemplo quello che resta di un pomeriggio fatto d’erba e tentativi. Quasi fosse solo questo l’ardire di un inizio autunno. L’alta fronda scomposta chiama la mia sete e me. Divento semina e insieme il mio niente.
C’è questo rumore
addensato sopra
il cuore
ruvido al tatto
delle poche dita
come fiumana
incerta e schiva
alla vita
del mio primo
tempo.
Sapere di settembre ancora un solo giorno e muoversi piano sopra le sue scale, quasi a dire un nome e cercarne il perché. Sono finissimi nodi a indovinarne la forma a desiderarne il ricordo. Così perlustro un armadio di subbugli male avvicinati e nelle mani la polvere sembra l’impronta di qualcuno.
Non so la paura e tremo.
Dentro il tuo corpo di
cristallo si muovono
ombre.
Scendo a vedere quale
fiore indossare.
Toccarti è vedere chi sei.
E tornerò , anche questo imploro, a rivedere chi sei. Traccerò rette infinite e moribonde, sgranerò i segni che minano il tuo corpo. Scaverò lenta il tuo passo nei miei ripari.
Nei pensieri
ti perdo,
sconosciuta anima
nel mondo,
infinito
avvicinarsi al dubbio
d’esistere, sempre,
incompiuta.
Fiore di stanchezza il mio volto. Nella pioggia si curva la schiena a coprire l’amore. L’edera rugginosa raccoglie i miei cenni verso casa.
Sono senza freddo e indugio
più vicina al mio male
sentendo nelle ossa
polverosi tocchi
di te.
Comincio da questa poca pioggia, che non sa toccare le mie foglie e piano
ammutolisce sopra i muri. Pomeriggio senza luce che mi tiene ferma a
scongiurare un dubbio, un sentore. Il cerchio pallido delle ore che mi sfoglia
e muta in poche righe di nero su bianco.
Muovo le mani
Spente nella sera
Di un’estate a
Evitare specchi
A cogliere luce
Da dentro i cuori
Increduli del tuo
Buio.
Muovo questi teli frondosi da una somma di finestre sul giorno. Come dev’ essere colmarsi di vita il cuore. Lenire tutta l’erba dal morire della rugiada.
Non sono le ore a
Incidermi dentro
Questo dolore di
Sere
Nessun ricordo
Esaspera le mie
Mani e qualche
Cerchio si chiude
Un riverbero tiene
Poca luce sui muri.
Buia paura che ammanti i gradini del bosco, l’andatura balorda che sono i miei sogni. Buio succedersi d’indizi nei miei crepacci.
Pochi lacci tengono le mie rose. Dilaga nella stanza un soliloquio amaranto.
La durezza delle pietre
m’attira.
Non so cercarlo, quel
cumulo di vita.
Il passaggio avviene
inesorabile, di soppiatto
annuncio un nuovo giorno.
Sanno levarsi nella sera i gelidi fiori del buio, mi scoprirò nel covo più scuro. Gravida di detriti a cui dare nome. La misura di tutto e l’inquieto sguardo del tempo.
L’oscuro presagio dondola
stanco tra le mani, cade
piano.
La grazia di un lungo
silenzio scivola per la
strada.
L’innocenza è un dardo
che trafigge persone e cose.
Scendere dentro l’autunno bisbigliando alle foglie d’andarsene piano. Cercando esilio alla stanchezza di guardare, sempre, un doloroso cielo.
Imparo a guardare
dentro la neve.
A toccare il senso
del mio cadere.
Esito appena
respirando la sera.
Incompresa festa
di chi muore.
Unirmi al muto incanto delle ore, alle nubi assorte della sera. Quali sortilegi prima d’impararmi.
Questa sera come chiudermi nel buio. Scorrere perle per misurarmi al loro candore. E nell’anima sudare.
Mi sovverte
l’andare cieco
della sera
sopra scale
affollate
e rumori
densi
di uguali
perché.
Come non essere più vicina a questa terra dove l’olmo preme contro le tempie e più densa la chioma della quercia mi chiede di restare?
Mi avvicino al mondo
Inesatto del tempo
Un fragore d’intenti
Oltre i miei fogli
Scalfiti dal corpo
Di qualche passante.
Sul greto malinconico che sono le mie ossa coprirmi d’autunno. Davanti a me sezioneranno il mio cuore, coltri di giorni immacolati.
Qualche foglio mi chiama stasera da strade brumose dove non possono più lucenti lame cercarmi le mani. Passerò per sempre i vicoli del mare.
Muti anfratti di ore
nella musica dei corpi
desueti cosmi di parole
a consacrare sere
nelle bianche mani
delle veglie.
Nel mio cesto malfermo di vita tenermi il cuore in perenne fioritura. Così, estenuanti rovesci siederanno con me e ancora nel mio pensarmi deserto.
Mi spingo nel cuore
involucri senza luce
le mani vischiose delle
piogge novembrine
un greve girovagare
d’anime di sangue.
Tacciono i polsi nelle tasche della sera. Mi sono detta un nome e poi un altro. Contando nei fiori segni di grazia.
E nella sera scorgere
l’indice della luna dove
immobili gelano gli occhi
come vecchi nastri i
nomi spioventi dai cuori
scoprire d’essere lembo
d’un girotondo lunare.
Steli inclinati nel bosco mi vedono esaudire il mattino. Poi folgori a intessere tappeti verderame e lo sguardo dinoccolato delle pietre.
Quante foglie alla porta mi crederanno mattino, senza forma alcuna di sogni.
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Nota biografica
Nata nel 1974 a Brescia (Bs), Paola Abeni si è laureata nel 1999 in Pedagogia presso la locale Università Cattolica. Dal 2001 insegna nella scuola per l’infanzia.
La sua produzione poetica è quasi tutta inedita, tranne alcuni scritti apparsi sul blog di Mario Benedetti , su quello di Viola Amarelli e di Gian Ruggero Manzoni.
3 risposte a “Paola Abeni | Poesie.”
e aggiungiamo su La dimora del tempo sospeso, http://rebstein.wordpress.com , a cura di Francesco Marotta.
bellissimi testi, grazie a Daniele e complimenti a Paola.
nc
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(ti)ho letto, e “Imparo a guardare dentro la neve ” anch’io: complimenti:
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Un viaggio intimo che ho apprezzato. Luci soffuse miste a colori, mutismi di neve e pur leggendo frastuono interiore… silenzi.
Complimenti.
clelia
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