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Grace Paley – Più tardi nel pomeriggio

AMORE

Prima scrissi questa poesia:

Risalgo il sentiero di pietra del parco dell’università
sotto la luna quasi piena le brune foglie di quercia
sono rosse come foglie d’acero
e io mi fermo a guardare i ragazzi
che parlano e si abbracciano
per loro ho pensato che mi sarei calata
nel ricordo dell’amore così mi sono lasciata andare
una mano sull’altra
finché coi piedi non ho toccato la terra dei giardini

di Vesey Street

Dissi a mio marito, Ho appena scritto una poesia sull’amore.
Che buona idea, disse lui.
Poi mi raccontò di Sally Johnson sul lago Winniepesaukee, che aveva dodici anni e mezzo quando lui ne aveva quattordici. Poi mi raccontò di Rosemarie Johnason sul lago Sunapee. Poi mi raccontò di Jane Marston a Concord High, e poi mi raccontò di Mary Smythe di Radcliffe, quando lui faceva il poeta ad Harvard. Poi mi raccontò di due poetesse famose, una bionda e una bruna, ora entrambe defunte, quando lui era un poeta in incognito che lavorava come impiegato in un ufficio senza finestre. Quando infine arrivò all’epoca mia – cioè a quindici anni fa più o meno – mi racconto di Dotty Wasserman.
Un momento, dissi. Che c’entra Dotty Wasserman? È il personaggio di un libro. Non è mai nemmeno esistita. Ok, disse lui. Allora perché Vesey Street ? Cos’è?
Be’ niente di speciale. Una volta ero innamorata di uno che commerciava piante, Vesey Street era il vivaio di downtown quando la città aveva magnifiche zone commerciali. Portavo i bambini a passeggio da quelle parti quando erano mezzi addormentati in carrozzina, qualche volta prendevo il traghetto per Hoboken. Anni dopo ci andavo in bicicletta la domenica, e pedalavo, pedalavo. L’ho visto due o tre volte.
Ma pensa, disse mio marito. Com’è che io non lo conosco?
Ba’ la stupidità dell’amato. Sei tu, dissi. Comunque, cosa sono queste balle di te e Dotty Wasserman?
Niente di speciale. Lei era una ragazzina svitata che ciondolava nei bar. Ma non beveva. Ci veniva per gli uomini, capisci. Neanch’io bevevo – non troppo, voglio dire. Speravo solo di scopare ogni tanto o magari di incontrare una donna e innamorarmi perdutamente.
Lui è così romantico. Talvolta mi dico, certo che amare me in questa piatta vita di mezza età con due paia di pantofole, un tipo sandalo in pelle per l’estate e l’altro foderato di pelo di pecora, deve essere una bella delusione. Lui sorvolò misericordiosamente sulle mie congetture. Disse, anni dopo, quando tutti facevamo politica e io ero sposato con Josephine, lei era anche una madre, e divertente, sempre al parco. Dotty e io eravamo delegati al famoso convegno nazionale delle assemblee cittadine a Kansas City. CNAC. Ricordi? Che donna.
Macché, dissi io, non è vero. Dotty esiste solo nella fantasia, è stata inventata alla fine degli anni Cinquanta. Oh, disse lui, allora è stato dopo. Devo averla incontrata dopo.
È cocciuto, perciò lasciai perdere e andai a fare la spesa. Alla nostra famiglia in fase di ridimensionamento occorrono più caffè, più uova, più formaggio, meno burro, meno carne, meno succo d’arancia e più succo di pompelmo. Camminando per strada, senza incontrare alcun vicino, canterellavo a bocca chiusa e continuavo a dar gomitate al tempo con l’aiuto della mia mente da buona esploratrice. Eccomi qui, a sperimentare la vecchia terra di Versey Street, inspirando e espirando nel tardo mattino con più attenzione al processo di quanto in genere accada – tutto per via dell’amore, probabilmente. Com’è interessante il modo in cui dal ricordo di ombre vere si passa all’invenzione di figure in carne ed ossa. Per Dio, pensai, chi ama è autentico.
Passai davanti alla libreria di quartiere, che faceva buoni affari con il sostegno delle Gioie del sesso. A me, sicura acquirente di libri poco reclamizzati, il proprietario rivolse un sorriso affettuoso. Era una persona di grande successo. (Non sapeva che tre anni più tardi gli avrebbero triplicato l’affitto e sarebbe andato incontro a un triste fallimento mentre il suo locatore, sentendosi un brillante imprenditore di superlativa furbizia, stella nei cieli della microeconomia, sarebbe diventato il primo uomo di successo).
A mezzo isolato di distanza vedevo già il cavolo sul banco del fruttivendolo, con i frammenti di ghiaccio che facevano scintillare le foglie scure. Il mio occhio interiore contrappose a questa un’immagine della campagna del Nord di cui era originario mio marito, la brina del tardo autunno tra il verde ricciuto. Cominciai a borbottare una nuova poesia:

Sul banco del fruttivendolo, luccica il cavolo verde
nella campagna del Nord risalta
candito di brina
scuro e ricciuto in un orto di paglia bruna
e leggera neve bianca…

Leggera neve bianca…Lo ripetei un paio di volte in tono interrogativo. All’improvviso il mio occhio esteriore vide una donna di aspetto piacevole che si chiamava Margaret e non mi rivolgeva la parola da due anni. Avevamo avuto un lungo periodo di intesa politica prima che certe questioni  relative all’Unione Sovietica ci separassero. Nei mesi furibondi durante i quali per molti versi avevamo entrambe ragione, Margaret trascinò verso le proprie posizioni politiche Louise, la mia migliore amica, mia sorella di sempre, al parco, nell’Associazione Genitori Insegnanti, e nel movimento pacifista. In una confusione di amore e rigogliose verdure vidi la faccia buona di Margaret, e prima di ricordare la nostra seria disputa, sorrisi. Nello stesso momento, lei riconosceva me e sorrideva. E’ così sciocco chi ama corrisposto che quando ci incrociammo le presi la mano, mi piegai, me la portai alla guancia, e la sfiorai con le labbra.
A cena raccontai tutto a mio marito. Be’, naturale, disse lui. Non lo sai? Il sorriso era per Margaret ma tu senti terribilmente la mancanza di Louise, e il bacio era per Louise. Entrambi dicemmo, Ah! Poi discutemmo di come il trattato Salt assomigliasse più a una partenza che non a un traguardo, leggemmo una poesia scritta da una delle sue figlie, guardammo un programma televisivo che parlava della distruzione dell’industria tessile in Europa e poi facemmo l’amore.
La mattina dopo lui disse. Sai, sei davvero un’amante fantastica, Sul serio, disse. Mi ricordi un sacco Dotty Wasserman.

 

@ Grace Paley, Più tardi nel pomeriggio, Einaudi

4 risposte a “Grace Paley – Più tardi nel pomeriggio”

  1. Delicatissimo. Una grande scrittura, rasenta la perfezione, senza esibizioni autocompiaciute, complessa perché semplice. Grazie, Gianni.

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