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Discorso sulla poesia. Una apologia della Parola

« Nobil natura[…]/Madre è di parto e di voler matrigna.»

(La Ginestra, Giacomo Leopardi)

L’ho già detto – e molti prima di me, ne sono sicuro: la ragione estinguerà l’uomo.
Il mondo tornerà a essere di nessuno, e le rocce approfitteranno del silenzio primordiale per dare voce al loro canto sotto l’ombra colorata dei loro stessi quarzi; e le bestie danzeranno sopra campi d’orecchie piene di terra e di antico cerume; lo scricchiolare di ossa e il cinguettare dei chiurli riempiranno le giornate azzurre e il cemento scoppierà all’incedere delle edere.
Ma lungo è il tempo che ancora attende l’uomo e la sua paziente disfatta, poiché il cinismo è la vendetta di ciò che passa, e l’agonia l’unico luogo che resta al rimanere.
Ci si potrebbe abbandonare tutti in una lunga eutanasia dei ghiacciai e avremmo Ragione. Ma sarebbe contro Natura. Poiché il vivere possiede ancora un interstizio nel suo illeso principio dove Natura e Ragione riescono a convivere, dove la prima trova la sua giustificazione nella seconda, nonostante la loro irriducibile inimicizia.

«La ragione è nemica d'ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola. Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto più difficilmente sarà grande quanto più sarà dominato dalla ragione: che pochi possono esser grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni. [...] La natura dunque è quella che spinge i grandi uomini alle grandi azioni. Ma la ragione li ritira: e però la ragione è nemica della natura; e la natura è grande, e la ragione è piccola.»[1]

Eppure l’uomo ha creduto alla Ragione, convinto di avere trovato dentro di sé quel Dio che non è riuscito a incontrare altrove, e in essa ha riposto la sua fede. Ma la fede, che fu anello della concordia tra Natura e Ragione, ora non è che cerchio di un vizio che si apre e si richiude su sé stesso.
L’uomo è in impasse, la Natura lo sa.
Cosa pensate possa avere la meglio tra la Testimonianza e la Giustificazione? È necessario abbandonarsi alla prima rinnegando la seconda. E se ciò vi sembrasse irragionevole, sareste sulla buona strada.
I discorsi posticci farciti di spiegazioni buy-now non hanno fatto altro che regalarci soluzioni di plastica tre per uno, galleggianti nel bacino putrescente della moda.
Il senno fu degli antichi, ancora abbastanza saggi da volersi immaginare. A noi non è rimasto che l’eco delle nostre grida nei compartimenti stagni dentro i quali ce ne stiamo rinchiusi, scrivendoci le motivazioni sulle pareti con le unghie manicurate.
Ma un giorno io le schiaccerò la testa e Caravaggio rinnegherà la sua Maria.
Riempirsi la bocca di Democrazia, con ancora la bava che cola mista al sangue di chi non abbiamo mai conosciuto, è il placebo a una sofferenza che la Ragione ci impedisce di comprendere, per non crollare sotto l’implosione delle sue stesse macerie su cui piantiamo le nostre bandiere.
La corsa verso la libertà ci affanna, e gli schermi dei PC s’appannano.
Ci associamo, ci ribelliamo, manifestiamo. «Ma tali forme di protesta e di trascendenza non contraddicono più lo status quo e non hanno più carattere negativo. Esse sono piuttosto la parte cerimoniale del comportamentismo pragmatico, la sua negazione innocua, e sono prontamente assimilate dallo status quo come parte della sua dieta igienica.»[2]
Sabotare l’utile e rinnegare il bello come menzogne dalle quali liberarsi per aprirsi alla densità del reale che ci incarna al di là di ogni ragionevole motivo. Solo così «L’umana compagnia»[3] saprà di Ginestra, e i seni bianchi delle donne s’ergeranno allora a picco ai lati della valle ancora fertile, dove la morte odorerà di latte e il tramonto sarà il tempo per raccontare ciò che non si è vissuto. La schiuma sulla groppa degli asini gli ricorderà chi sono, ma senza redini. Dormiranno gli stambecchi accanto ai leoni e le lucertole canteranno con i grilli, tra i rami e le pietre, l’estate. Suderanno gli inverni sotto il passo dei vecchi, sorpresi di vedere le loro orme bianche seguirli ancora. Sorgeranno le primavere verdi ogni mattino e gli autunni coccoleranno le foglie non più acerbe con flebili sbuffi di vento. La gaia normalità che non sorprende rende felici.
Ma noi, lo siamo? Felici, dico. La ragione ha attraversato gli abissi della metafisica per cercare le risposte sbagliate. Quanta energia sprecata. Dire che l’uomo non può essere felice perché superiore alla sua propria Natura è come tagliare le zampe al proprio cane e dire che non corre verso di noi perché sordo. Quale onore ci farebbe poter riuscire ad ammettere le incapacità della Ragione. Ma nessuno è tanto ardito da rinnegare il proprio Dio: Giuda s’impicco, prolificarono solo Cristi da resuscitare.
Sostituire la finzione con l’immaginazione attraverso quell’atto intemporale che è la Parola non appena viene prodotta, l’unica ad essere realmente libera poiché in grado di distaccarsi completamente da colui che la produce per gettarsi, vergine e fiduciosa, tra le braccia di chi vorrà accoglierla, sempre diversa.
Ma in un’epoca in cui la Ragione analizza e spiega ogni cosa, ebbra dei fumi della determinatezza e patologicamente smaniosa di determinazione, perché la Parola non venga assorbita dalla finitudine e possa conservare quell’ambiguità che le è indispensabile per rinnovare la sua ingenuità, perché ciò che ha la pretesa di appartenere all’universale non diventi prigioniero dei confini del caso particolare, c’è bisogno di liberare il dire da tutte quelle associazioni convenzionali che lo cristallizzano a spese dell’invenzione collettiva.
Anteporre l’espressione alla funzione nel linguaggio significa creare una idiosincrasia tra significati e significanti prestabiliti attraverso un lavoro negativo, a togliere, che abbia come risultato trasformare il dire in un invito dell’altro a costruire. Il vero atto comunicativo è, infatti, quello capace di subordinare l’urgenza del singolo a quella della comunità in cerca di se stessa, attraverso l’uso della prassi simbolica del linguaggio che non conosce menzogna.
Quale migliore luogo perché ciò avvenga se non la Poesia? Ed essendo questo un atto di per sé etico, una Poesia che lo metta in pratica è l’unica Poesia etica possibile.
Cos’è l’invito rimbaudinano a «essere assolutamente moderni»[4] se non questo rinnegare ogni differenza personale per un incontro della «umana compagnia» nel linguaggio? Un invito spesso ridotto alla mera ricerca dell’originalità espressiva, di uno sperimentalismo fine a sé stesso che non ha tenuto conto dell’intero invito di Rimbaud:

«A ogni modo posso dire che la vittoria è mia: il digrignar di denti, i sibili di fuoco, i sospiri ammorbati si attenuano. Tutti i ricordi immandi si cancellano. Si dileguano gli ultimi rimpianti, - gelosie per accattoni, briganti, amici della morte, minorati d’ogni sorta. – Dannati, se io mi vendicassi!
Bisogna essere assolutamente moderni.
Niente cantici: mantenere il passo conquistato.»

Così, anche la Poesia più sinceramente impegnata, più intimamente civile, se non si impegna nella reinvenzione della Parola, se attraverso questa non cerca di risolvere quella sintesi dell’assoluto inaccessibile alla Ragione che non ammette correspondances, se non mira a un dérèglement della struttura linguistica della comunità alla quale si rivolge, rischia di diventare parte di quella dieta igienica assimilata dallo status quo, poiché parla lo stesso linguaggio, slittando impercettibilmente da una posizione in difesa di un qualche tipo di ideale ai più bassi compromessi a favore del profitto, giustificati dalla Ragione con lucide sublimazioni di un atto che altrimenti non avrebbe molte spiegazioni.
Quando la Parola smette di essere «appello al lettore perché conferisca un’esistenza obiettiva alla rivelazione» iniziata «per mezzo del linguaggio»,[5] allora essa diviene mortale e il suono che produce è il rumore dei cocci di un’altra opportunità andata in frantumi.

«Ma se così è, ecco l’illusione sparita, e se il poeta non può illudere non è più poeta,
e una poesia ragionevole, è lo stesso che dire una bestia ragionevole ec. ec.»

(Giacomo Leopardi)

 

 

[1] Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Giacomo Leopardi, Le Monnier (Firenze), 1921-1924.
[2] L’uomo a una dimensione, Herbert Marcuse. Piccola Biblioteca Einaudi.
[3] La Ginestra, Giacomo Leopardi.
[4] Rimbaud. Poesie e prose, Oscar Mondadori, 1975.
[5] Cos’è la Letteratura, J. P. Sartre, Il Saggiatore 1960.

19 risposte a “Discorso sulla poesia. Una apologia della Parola”

  1. l’ignoranza è “il talento”, la dote di cui è fornito l’uomo, il resto è sogno che si fa segno, disegno.Dietro queste tracce cerchiamo di accerchiare le nostre paure, sempre le medesime, anche se fingiamo di esserci evoluti (e-voluti),siamo sempre immersi nello stesso mare di “non so”.f

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  2. cacciateli i poeti hanno sempre il fiato corto e non sanno mai che fare sanno solo parlare parlare parlare oracolare su tutto e su niente. Lo aveva detto Federico:-basta coi poeti,basta per sempre!-

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    • insomma sono uomini… i poeti.
      :)
      io li adoro i poeti con il loro parlare, diverso, profondo, civile, intimo e personale
      io li adoro tutti con i loro difetti
      le loro rughe, le barbe, lo sguardo sempre rapito altrove
      li adoro per la loro capacità di sentire la terra sulla pelle
      di percepire il taglio nella carne
      per la profonda appartenenza alle cose
      e l’aderenza sconfinata al sensibile
      e li adoro per quel distacco dal comune
      per l’anarchia che li governa dalla ciocca dei capelli ai lacci delle scarpe
      li adoro per quell’insulso modo di essere nudi e osceni
      li adoro perché profumano puzzando di vita
      li adoro per gli occhi stanchi e sempre accesi
      io li adoro perché

      Amo i folli
      che si scindono in due
      in cerca della logica dell’illogico loro sentire,
      i peccatori
      che si contorcono nell’indottrinata duplicità
      di morale ed immorale,
      amo i barboni
      che si abbandonano ad una panchina ed alla compagnia d’un cane
      per non soccombere alle catene del vivere sociale,
      amo i diversi
      che ci insegnano l’amore
      al di là degli orifizi e dei rigidi schemi naturali,

      ed amo i poeti
      perchè sono folli, peccatori, barboni e diversi,

      e la poesia
      che schiude l’armonia dei contrasti
      e crea laceranti canoni inversi nell’animo che si spezza e si tormenta
      alla ricerca di sè
      e di quello che non è
      denudandosi impudicamente il corpo
      fino al nocciolo duro ed impenetrabile
      di questo ineluttabile esistere.

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        • Vedi, Luigi, torniamo sempre ad un punto unico e comune, i poeti non sono che cenere, non sono nulla esattamente come nulla siamo tutti
          sono bugiardi in quanto uomini, non in quanto poeti
          attribuire al “poeta” una, che sia una sola etichetta e caratteristica distintiva, è per me una cazzata immane
          ci sono poeti di tutti i tipi, come uomini di tutti i tipi
          conosci Vinìcius de Moraes? … “vedi, amico, la vita è l’arte dell’incontro”
          da ascoltare, scritta con Ungaretti nel 1969, alla chiarra un giovanissimo Toquinho, la voce parlante nell’incisione originale è di Ungaretti, la parte cantata è di Sergio Endrigo.

          Io, Luigi, posso essere “bugiarda” quando faccio mia una voce non mia e le dò parole e fiato, inchiostro, ma è il mio inchiostro
          io posso essere stronza per 100 persone e adorabile per una
          posso essere poeta per te e non esserlo per il resto del mondo
          ma quello che distingue un poeta da un non poeta è il fatto che poeta si è e non si diventa, ma soprattutto, il poeta non si “fa” e non risiede la poesia né intorno alle tavole dei letterati, né nelle mosse e pose poetiche degli intellettuali
          la poesia risiede in un foglio bianco, nel bianco prima dell’”incontro”
          nella creazione e nel silenzio.
          il resto è fuffa.

          (credo, ché un limitante “credo” è sempre umilmente opportuno)

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      • Nat, ma io “bugiardi” lo dicevo con goliardia e non dispregiativamente. Coloro che sono bugiardi davvero sono uomini. La bugiarderia del poeta è altra cosa: è un invito ad andare in un posto dove ciò di cui si parla non esiste, eppure… Difatti i poeti non detengono la verità (che non può esserci verità e dimora in un solo verso), piuttosto parlano del vero, quello che non si vede, che non c’è. Uno può accoglierlo oppure no, può trasformarlo a suo piacimento e lì, in questa accoglienza/appropriazione/trasformazione che c’è l’incontro e si fa la Poesia.

        Sul fatto poi che poeti si nasca, non sono d’accordo. Al massimo si scopre la Poesia (intesa come luogo)e il suo potere (forse sarebbe meglio dire forza, visti i tempi che corrono e l’accezione che questa parola ha assunto comunemente :) ). Io non credo di esser nato poeta (tantomeno penso di esserlo, ma è un altro discorso); piuttosto a volte mi capita di cadere in una dimensione che riconosco e in cui non mi riconosco e m’appassiona. Credo sia la Poesia, ma non ne sono sicuro.

        Se è vero che non siamo animali, il mondo non esiste solo in base agli effetti che su di noi produce, ma per il significato che ad esso gli si attribuisce. L’uso della ragione ci ha trasformato non in uomini ma in bestie ragionevoli. Laragione richiede accordo previa plausibilità, e ciò non va proprio a favore dell’incontro. La poesia è un campo libero dove ognuno entra e ci mette del suo. Un po’ come una wikipedia senza fonti e spiegazioni. è in questa fluiditpa che affogano le identità dei singoli, che siano essi scrittori o lettori di poesia, i quali, secondo me, sono entrambi poeti.

        Ma il modo che abbiamo di comunicare e di vivere mira alla funzionalità poiché è devoto all’utile e tralascia l’esperienza del bello. Così può succedere che noi due qui diciamo la stessa cosa senza capirci oppure diciamo due cose distinte senza poter accettarne la coesistenza. Se invece di scriverti ‘ste cazzate t’avessi risposto con una poesia sarebbe stato sicuramente diverso.

        Che poi, a prescindere da quello che ognuno pensa, “tutto il resto è fuffa”, lì sfido chiunque ad avere dei dubbi :)

        L

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  3. i poeti (e mi riferisco a quelli che lo sono veramente e che non producono rumore di cocci) sono eroi e martiri, e gridano nel deserto. questione di tempo e avremo quello che ci meritiamo. l’estinzione totale. speriamo in un’inversione di rotta. sì, lo speriamo fortemente, che la parola arrivi e che sia parola che produca cambiamento. buona domenica a tutti antonella

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  4. La parola è potente, la parola consente, la parola innesca, la parola da sola non può. A volte è proprio la parola che scegliamo, quella che ci voleva, quella giusta, quella dura, precisa, necessaria, che non fa sconti, proprio “quella” parola, che paralizza. Una volta trovata e scritta la rimiriamo ben bene, la coccoliamo per qualche secondo nelle ore notturne, poi andiamo a letto, spegnamo la luce e dormiamo il sonno dei giusti…

    Non c’è alcuna differenza tra il sonno dei malvagi ed il sonno dei giusti.

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  5. Ma se io dico blu, tu puoi pensare quello che vuoi. Il sonno è uguale. Ciò che si sogna è quel che fa la differenza. I “malvagi” come li chiami tu sono quelli che credono che a blu corrisponda una ed una sola cosa specifica. È che non sono cattivi, solo sono arrabiati :)

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    • Ho inteso benissimo a cosa ti riferivi ed hai perfettamente ragione. Ma la parola non è anch’essa agire? Significare il mondo non è anch’esso agire? Il pensiero (anche quello elementare delle bestie) precede sempre l’azione, anche se di un millesimo di secondo. E tu pensi come parli, con gli strumenti che possiedi. Forse che cambiare gli strumenti possa portare come conseguenza un cambiamento delle azioni? Questo è quello che intendevo io :)

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  6. Sì, anche la parola è agire, ma da sola non cambia nulla… La parola è condizione necessaria, ma non sufficiente. E penso che a volte affinare gli strumenti possa comportare un cambiamento delle azioni, ma è sempre condizione necessaria ma non sufficiente. Per esprimermi con Dante, il sommo poeta, direi che poi viene sempre il momento in cui bisogna alzare il culo ed… essere conseguenti, in qualsiasi modo, anche piccolo, ma bisogna “fare”.
    ;-D)

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