[Ho conosciuto la poesia di Maria Grazia Lenisa troppo tardi per dirglielo, è stato amore a prima lettura. Ringrazio Maria Rosaria Lasio per l’accurata e precisa analisi che fa della poesia della Lenisa e Marzia Alunni per aver permesso a Poetarum Silva di ospitare e custodire le parole di sua madre. – n.c.]
Si consiglia inoltre la lettura degli articoli su Maria Grazia Lenisa pubblicati da “La dimora del tempo sospeso” QUI e QUI
Se per Bataille e i suoi epigoni il “contrastare” ha le qualità del prometeismo, per Maria Grazia Lenisa il termine che meglio esprime la sua poesia è contravvenire, in quanto dà segno di una situazione non statica, ma continua e mobile, fluida. “Disobbedire, /atto fortemente creante, mettere in dubbio/ il comando, / a se stessi obbedire, valutando, se pure/coincide con la saggezza dell’altro…poi. Dio ride….” (L’ELOGIO DELLA DISOBBEDIENZA, L’Agguato Immortale, 1995). E per chiarire l’essenza della sua e-versione e la specificità dell’erotismo presente un po’ su tutti i suoi testi, riporto da una nostra corrispondenza, quanto lei ebbe a scrivermi per precisare “ Per una donna non si ama da morire, come dice il proverbio, ma da vivere.” Con ciò osando il suo distinguo fondamentale rispetto a tanta cultura “maschile” malata di “teca”. Scriveva la Lenisa, “…se non facciamo attenzione a questa differenza, rischiamo di affogare nella melma di una confusione tra arte e vita (che) genera l’impossibilità e l’impotenza davanti al nuovo, perché non porta avanti la riflessione su due punti: La sessualità genera vita, quindi morte; l’erotismo genera arte quindi vita.” “E’ sulla Vita che verte la mia creatività ed anche il senso dell’Amore che nella vita (questa!) equivale al momento artistico. “Altre cose sono il bisogno reciproco, la carità, l’abitudine…”
Davanti al lato mitico/totalizzante sino al sacro della poesia lenisiana, il rischio è di avere dimenticanza del sottosuolo sul quale si è abbarbicata una poetica complessa come la sua, di non vedere che non sono gli argomenti del suo poetare l’elemento di novità, quanto piuttosto lo stile. Uno stile che si è connotato anche per la sua scelta/propensione verso il parodico, ovvero verso il rovesciamento degli stati emozionali e commotivi, come nota bene Folco Portinari.
“Il nuovo è dentro la parola che tutti macinano, il nuovo è la stessa cosa che pare diversa, combinazione d’arte” (Per ragioni diverse pag.40. L’Ilarità di Apollo, 1983). Così si fa Poesia perché “Nel fondo l’equilibrio che vale contro le strutture sociali (che) sempre portano al labirinto e non c’è uscita che in arte”. (E tornammo qui pag.119 L’Ilarità di Apollo). E ancora“La tradizione come scarpa vecchia, / se la metti a cappello – gli rispondo – è cosa nuova.”(L’ansia del nuovo distrugge il nuovo, L’Acquario ardente, 1993), per chiarire il suo essere poeta nel magma delle Avanguardie, molto spesso solo d’apparato.
Ma è la Lenisa che si muove nel solco della cultura della Madre, quella con la quale si è intersecato il mio percorso di scrittura negli anni ’90 in occasione del numero della rivista di poesia Erbafoglio dedicato all’Erotismo e di una manifestazione pubblica sulla poesia delle donne, quella alla quale io resto legata. E’ alla sua esemplare autenticità, che faccio riferimento avendo come traccia la rivisitazione/re-invenzione, che lei fa di temi come l’Amore, la nascita/la morte, il dualismo maschile/femminile, la Poesia come tensione e restituzione di un senso sempre nuovo.
Già con Erotica, raccolta pubblicata in Francia nel 1979, M.G.Lenisa si lancia, in una prospettiva volutamente provocatoria, verso un tema quello dell’Eros, da lei trattato in forma epigrammatica, lasciando brividare l’immaginazione in quello spazio/Altrove, per ciascuno differente che si muove tra esperienza e parola. Dopo questo testo, un decennio dopo, il respiro poetico si distende in forma narrativa, sia ne L’Ilarità d’Apollo che ne La Ragazza di Arthur e altre poesie edita nel 1992, dove la Ragazza (che è poi la poeta stessa “forte” per avere Rimbaud/Poesia a difenderla, ad alitarle vita), può avere le sembianze di chi non sa vivere, chiuso com’è in una campana di vetro dentro la quale sta in attesa di essere resuscitato, di ri-nascere a nuova vita, oppure quella di una creatura che comincerebbe con l’essere una donna, dalla quale l’essere umano sarebbe stato creato ma stavolta senza l’apporto del maschio, per tramite meraviglioso di un “amore di testa” o di uno sguardo narcisistico.
“In principio è/la Donna” leggiamo a pag.10 della Ragazza di Arthur… “Al principio (variatio) è la Donna” viene confermato a pag.12, recitando in altra maniera la sua versione delle Origini, della Creazione. E se il personaggio fosse un angelo caduto dal balcone della poeta, lei lo incanterebbe e lo disegnerebbe prima di diventare una donna ed essere liberato, perché nel suo Universo l’uomo non esisterebbe se non travestito da donna.
La poeta destruttura il linguaggio amoroso, dis-loca gli incontri, le scene dei suoi personaggi in un teatro senza fondali, in un luogo, quello della carta, della mente inventiva che va sempre oltre il reale. Le condizioni fisiche (nudità, sesso) sono evocate per provocazione, con ironia che affranca da ogni costrizione
Addentrandosi nel secondo millennio, la Donna fatta poesia va a ragionare sul presente che le gira attorno, che fa buco di senso alle probabilità del divenire, s’accosta, nuda e fuori di testa per effetto di delirio, alla Morte come esito che la riguarda.
Di questo slancio L’Ombelico d’oro, 2003 dà segno imbastendo situazioni incredibili, con “stra-vaganze” straordinarie, forse più per sé che per salvare gli altri, più per indicare una strada, per non darsi per morti prima della morte, che per cercare adepti in un cammino/viaggio per il quale la chiamata arriva da una Voce interiore, da una grazia che non fa appelli e alla quale si risponde nascendo, appunto, completamente nuovi, autenticamente veri, perché è vera nascita solo attraverso essa.
L’ombelico d’oro è metafora del telecomando, per evocare tempi, personaggi, astrazioni immutabili. Apollo, Dio, le Muse, la Morte, i politici, gli stilisti, i poeti di varie epoche – ed altre curiose figure – abitano la città di Alessandria, una città cosmopolita che porta in sé sia il presente che il passato e, ancora più forte, l’anticipazione della città futura, ovvero del cimitero delle percezioni materiche e sensoriali che il polline poetico contiene e che altro non diverranno poi che humus, humus per la concimazione della terra.
Come dice in “Lezione sulla forma” a pag.43: “la Forma che risale alle radici del corpo/ed al respiro della vita,/ si tramuta in parola/ ferita e gira vorticosa, eccelsa/ con tenitrice di folle energia”. Energia che si irradia nell’invenzione senza fine, facendo “essere ciò che è soltanto nella mente ma che, dopo che è stato creato, non è possibile dimenticare e fare che più non esista”, come scrive Giorgio Barberi Squarotti nella prefazione al libro, perché “…è un aspetto ulteriore del mondo che non è mai finito finché può essere ricreato e portato con la parola più in là un poco ancora di quel punto a cui prima era arrivato”… Ed è l’anacronismo mistico della salvezza individuale, che Maria Grazia Lenisa porta con sé nella sua vocazione poetica per oltre sessant’anni di magistero di scrittura (esordì infatti giovanissima, poco più che quindicenne nella rivista Realismo Lirico di Aldo Capasso negli anni ’50) è l’elemento che oggi dopo la sua morte e il lascito del suo ultimo scritto Amorose strategie, 2008 ci dà segno dell’eternità di Amore/Poesia che vince il dolore e conquista la Morte per un’altra misura di Tempo.
Maria Rosaria Lasio – 18.03.2010
*
Da L’ILARITA’ DI APOLLO ed. BASTOGI 1983
IN ALTRO LUOGO
Tu qui, vicino al salice di radici oltreumane,
hai tempo finalmente d’assegnarmi la parte.
Mi lascerò legare col più tenue dei rami,
anche il più malleabile: ecco caviglie e mani.
Reciteremo insieme, ma col più grande distacco,
la violenza che passa dal pubblico al privato
(il tuo folle timore che un padrone del mondo
ci cucia gli orefizi d’ogni piacere e lasci
il fuoco sulle spalle, il muro per fermarci).
Quanti sono passati intorno a questo salice,
tanti grossi nasi, pieni sacchi spermatici,
tanti con dita sudice, banconote schioccanti.
Se solo avessi un seme (mi puoi accontentare?),
io vorrei partorire il guscio di una nave,
ma senza marinai; essere finalmente quasi
ragazza-madre. Così passare i secoli delle vite
inventate, in altro modo amando ed altro generare.
*** *** ***
IL VIAGGIO
La palude – scopro – già dentro vegetazioni opache,
corrotti odori. Acque deglutiscono insetti. E’ questo
il luogo che un dio vendicativo abita…Dal liquido
materno, oceano di mitezza in cui nuotai, esule
chi sa come, a queste rive, credetti di ravvivare
cadaveri di fiori, purificare acque, curare il sadico
seme con pazienza, invece, legata a questa rete,
non c’è morte, la ferita mai mi compromette ( frusta,
morso, stretta, azzurra mappa di lividi, attrezzi
di una deforme morale), ma l’armonia mi regge incauta,
trasparente pace della mia undicesima casa, miti accordi
astrali. E, senza interferenze, mi lievita l’amore,
sorella all’impotenza tenera, stranita per troppe offese,
d’amore amo il Mite che non mette avanti la potenza
(il sesso che non cresce, offeso con speranza di crescere
umilmente solo di tenerezza). Temo la violenza, l’oltraggio,
compromessa nel gioco del massacro, cosciente che il carnefice
ha tristezze disperate di vittima. Estranea al quotidiano
resisto, non mi strappo, leggevo: “Il Minotauro mi guardò
con gli occhi azzurri…”, l’affresco del mio sangue adorando.
Eppure un sogno cura la mia anima che qui scenda il Mite
Tra questi cupi luoghi e colpa la mia grazia tormentata,
carezzando i muri, prenda forma sotto il suo palmo il corpo,
il sesso che non è estraneo all’anima. Creatura di pazienza,
esempio di mitezza ai colpi, tristemente dica davanti
al mondo: “Frustatemi come Lei…” Dal suo pianto esco
verginale, fresca d’un piacere intatto, vivo (meraviglia
d’orgasmi!), sciolto il buio incubo: io limpida, io benedetta:
Ecce foemina.
*** *** ***
Da LA RAGAZZA DI ARTHUR (e altre poesie) ed.Bastogi 1992
La parola amore è una bambina che ha scordato arco e frecce
Mi portò al largo (spiazzo della luna)
che qui già tutto conosciuto era, la molle
erba (dicitur), la fosca fioritura sul petto
della terra, arrivai finalmente sulla luna,
un oggetto qualsiasi, una brulla area distesa
(silenzio di tomba ancora vuota). Là mi disse
Amore.
Mi volsi intorno e non c’era nessuno. Allora
ricordai che fosse amore in terra, per tentare
il paragone: un odore selvatico di sperma,
un decomporsi di fiati, di corpi ché eterna
non è là la primavera e neppur qui, mai vista
sulla luna.
Così m’apparve la parola d’oro, vestita
a festa, giovane, lavata d’ogni lordura, d’amore
mi comparve la parola, tanto l’amai da non essere
sola.
L’archeologia della sua pura luce era nel verbo
(uomodonna completa nella sua a sublime, calma
neutra). Così ripresi la parola amore.
*** *** ***
Il 21 luglio del 1990 fui colpita dal fulmine
(Nella liquidità azzurra del mare potrei avere altri zampilli… )
A Luce Irigaray
Io lapidata?
I colpi della grandine e sabotate le nubi
da angeli un poco sporchi, appiccicate l’ali, quasi
stramate dalla pioggia acida.
Là due creature
con l’ombrello immenso e molto strette, neppure
una goccia della gran doccia scatenata in alto.
E mi ha fermata d’improvviso il fulmine, non mi conosco,
non so la mia storia e l’amore s’inventa a poco a poco
il mio viso di verso, in fondo agli occhi proprio la luna
che diserta il cielo.
Per quali sogni?
Il Vento le si forma come un corpo maschile per goderla
in mezzo all’erba, sollevato l’orlo della veste segreta.
E chi ha mai detto che l’amore è uomo?
Una chioma spiovente sulle spalle color di scudo,
quando batte il sole, gli occhi celesti, aperto sopra
il bruno quasi frinente di cicale(il petto) e così
caldo di pelle (di Imetto). L’amore è vento che ti porta altrove.
E chi ha mai detto che l’amore è donna!
Ma no, è la Luna tormentata, il volto coperto dal vaiolo,
così lontana che ti pare bella: E’ la luna, la luna,
(non è quella!). O la nube che fugge così tonda a dire
corpi dissoluti e bianchi, amori di animali sconosciuti,
un happening di angeli drogati.
Cosa rimane del celeste Caos… Un amore che a dirsi non si presta.
L’amore è questa voglia di far versi, sentirli
dentro tutti fra le gambe e ridendo un po’ gemere: mi penetraaa….
L’amore non è niente, lo si inventa?
*** *** ***
Se in-quieta vuol dire essere dentro la quiete, dal profondo
di essa s’agita l’inquietudine.
L’Histoire d’O? Mi sia concesso di avere gusti di versi
Il paravento di sauri dorati, rivolti a cieli
vuoti,
la farfalla sulle creste di posa, lingua
bianca ad indorare tenerezze amorfe.
Di là
c’era un mio corpo, vago segno, una sindone
quasi un gioco d’ombre. La stanza buia che
trafigge l’ago della luce precisa nell’imposta,
l’odore del silenzio, d’una ruvida corsetteria
a tepore della carne. Con la tuta degli angeli
vestita (di grasso e di piume), costrette le mani,
scriveva con la bocca. Di che altro?
Dell’altro
appunto, quando venne il ciclone, aprì le imposte,
il paravento a terra. Dentro non c’era quella
linea vaga, un po’ di cera (vedi?), la preziosa
ciotola della lacrima asciugata: il baraccone
che si smonta all’alba (fittizio d’ogni storia
d’invenzione).
Poi d’improvviso ecco la Visione
a sollevare il paravento (il gusto così soave
della giusta luce), un cambiar scena sulla seta
antica: eros volante il pettine mi dona, liscio
i capelli d’oro alla Bambina, il diadema ponendo
sulla fronte.
E l’altro corpo della perversione
( o del portare al mio verso l’altrove) in quale
festa fu di perdizione? Ma sì, cadeva la parete
e intorno al letto enorme si gremiva il mondo
ad ascoltare un fremito, un lamento, a scoperchiare
il copriletto e dentro una fila di femmine in amore
coi grandi uccelli senz’ali e colore.
Là un oggetto
chetissimo di spalle mostra la mappa dell’indignazione.
Il volto è basso nell’angolo morto. E’ sempre notte,
inferno, perdizione: brilla la frusta come serpe in amore.
E l’occhio mesto sulla nuca vede la saetta che vendica
le offese.
Il giovane che giunge con le ali ancora
intonse nell’astuccio rosa, dice sereno: “ ce ne andremo
altrove ( e lo chiamano amore)”.
“Da noi – risposi –
avviene in altra posa”.
E dritta sopra un piede presi il volo, mentre un cecchino
mi mirava al Cuore.
Coreografia che allude all’autenticità femminile, al plagio col cappello dell’uomo…
Ma io fui quella
che versava l’acqua
da un vaso all’altro
e non cadde una goccia
nel mare cupo
dove persi i piedi
L’Altra gentile, il serto
dell’alloro:
sulla poltrona del potere
in posa
pensa all’amante,
suddita per rango
getta la chiave
d’una stanza morta
tanto gli piacque
sul trono di carta,
il bilancino
che da un lato penda
a suo favore,
in pugno la mia spada.
Spuntata e dritta,
ma le gambe strette.
E Lui riguarda
quel suo scettro
(l’uomo?)
davanti al nulla
sta conquistatore
dal segreto “Manoscritto dell’Acquario”
(Alla parola che coglie nel segno).
*** *** ***
Da L’OMBELICO D’ORO, 2003 ed. Bastogi
Oh Poesia Madre!
Non fiorisce, sebbene color d’oro, la mimosa
è bandita!
Nauseante l’odore di vita arsa, non si festeggia
il dolore. Il glicine senza odore recita la sua
memoria eccelsa.
Il pittore da marciapiede fa sagome di corpi,
vi si stende a vedere se combacia il suo,
conferma che vivere è oltre la farsa tragica,
l’osceno del gesto scaramantico, il sublime
d’ogni verso.
Si sporca, recitato, il canto di Dante: “Vergine
Madre…”, sacro incesto.
Mescolati i generi, inciampa ridendo nell’o-
oscenità
Ariel, folletto, scade nel patetico di consumo
facile. Un popolo scemo è l’eletto, abbatte
la Poesia, ridendo
fino alle lacrime.
Oh Poesia Madre, “termine fisso d’eterno…”
*** *** ***
Sto rileggendo Nietzsche, La nascita della tragedia…e qui ho trovato Apollo e Dioniso, i due maestri che in-segnano nella tragedia il ridere. Questo ridere, non la risata grassa, bassa, ventriloqua, ma quella del cervello, reso abile a sconnettersi dalla rigidità della regola fissa, la costante k, quella della premeditazione all’ansia, al dogma dell’angoscia che tutto, in questo mondo, ci inietta, una parola dopo l’altra. Grazie Nat.ferni
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grazie a te, Ferni, ma ancora grazie a Maria Rosaria che ha scritto quest’articolo, che come ben fai notare apre il campo della riflessione dalla poesia a mille altri “incroci”, proprio per noi.
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Carissime amanti della poesia come esprimere la meraviglia che le vostre parole, appassionate eppure stringenti nella loro logica, mi suscitano!
Grazie a Maria Rosaria, a Natalia ed agli amici de “La dimora del tempo sospeso”, grazie pure della rilettura filosofica proposta (fernirosso) insieme stiamo conducendo una grande battaglia per l’affermazione di Maria Grazia Lenisa, un caso letterario unico che abbraccia cinquant’anni e continua a stupire per l’attualità, la giovinezza del cuore e la libertà dello spirito. Marzia Alunni
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grazie d’essere qui, Marzia, ti confesso che questo post mi rende felice e mi commuove nello stesso tempo. grazie.
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a proposito di “battaglia”… tra qualche giorno metterò online uno scritto di tua madre che sento profondamente di condividere, ma non voglio rovinare a nessuno la sorpresa…
a presto.
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mi unisco a Fernanda e Natàlia negli apprezzamenti.
e ringrazio Marzia per aver sottoposto, qualche tempo fa, alla mia attenzione l’opera poetica della Lenisa che ancora mi era sconosciuta e che, sicuramente, merita attenzione.
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Grazie Natalia… Sono veramente commossa per questo spazio che onora la poesia e la voce di “bambina non plagiata” di Maria Grazia Lenisa… Fuori dagli schemi e dalle interpretazioni anche filosofiche che è giusto proporre, credo di poter dire, sicura che la Lenisa avrebbe condiviso, che la poesia viene comunque prima, almeno quando è “grande”, autentica come la sua, quando è Profezia e Salvezza…
Vi abbraccio tutti/e. Un grazie particolare anche a Marzia.
M.Rosaria
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“bambina non plagiata” … una rarità, davvero.
Grazie Maria Rosaria, come ti ho già detto continueremo questo lavoro nei prossimi giorni, pubblicando l’altro testo -“forte”- di Maria Grazia, che aggiungerà nuovi terreni dissolvendo parecchi “confini” alla mappa del nostro cammino di diffusione.
grazie infinite, natàlia.
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Un Dono da custodire… grazie.
stefania
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vero Stef! :) grazie a te.
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già dal titolo mi prende
“L’impronta della disobbedienza”
quale orma, se non quella della disobbedienza, può essere creativa e dunque
lasciarsi condurre da questi versi intensi, intrisi e perciò capaci di trasudare eros, ma non solo, al lettore, il tutto supportato da una forza e anche da
un’ironia puntuta, molto femminile.
La mia preferita è
“La parola amore è una bambina che ha scordato arco e frecce”
che mi affascina non poco, per quel suo modo, di Diana, di andarsi a prendere il senno perduto sulla luna…
Grazie della scoperta che mi è stata resa possibile qui.
ciao!
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grazie a te, Margherita, è un vero piacere leggerti anche qui e ti invito a tornare tra qualche giorno, perché posteremo un articolo di Maria Grazia Lenisa, che – conoscendo i tuoi gusti – ti piacerà non poco!
a presto! :)
natàlia
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oh che gentile natàlia!
sì, adesso mi sono messa nei segnalibri poetarum e dunque, per quanto mi sia possibile, perché sono piuttosto tirata con il lavoro e il resto, verrò a trovarvi.
grazie ancora. ciao
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