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Una frase lunga un libro #48: Domenico Cipriano, Il centro del mondo

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Una frase lunga un libro #48: Domenico Cipriano, Il centro del mondo, Transeuropa, 2014, € 9,90

*

Ci è stato donato un mondo
inverosimile, tra vetrate innalzate
e seminterrati, distanza paradossali
astrali prove di esistenza. Si alzano
stratificazioni della roccia, cedono
le foglie sulle pietre: uno scambio
teso alla resistenza, a perdonare
agli occhi la pelle nuda delle stelle.

È un libro questo di vita e morte, di questa materia è composto il mondo di Domenico Cipriano, ma non è questa, soltanto questa, la storia che il poeta ci vuole raccontare. Vita e morte stanno in ogni verso e non c’è bisogno di nominarle, perché a trascinarle verso di noi è la forza della poesia e perché la poesia stessa è tutto. Il centro del mondo è un libro fatto di fango e luce, ecco. Il fango che è cuore pulsante, che è terra in movimento, che è terra e acqua, che è il sottoterra, il cuore fondo del territorio, il posto da calpestare con i piedi, quello in cui sporcarsi le mani e non pulirle mai più del tutto. La luce che illumina e si nasconde, la luce che ci prende di sorpresa all’alba, la luce di un abbraccio, di una stretta di mano. Tutta la luce che fa il ricordo di un affetto. La luce che rischiara la memoria. La luce che decide l’ombra che fa un oggetto spostato, di un orologio dimenticato. La luce di un sorriso sfumato, di una carezza, la luce che vedi in fondo a un buco scavato. Fango e luce e dietro un cuore, il cuore delle cose, della gente, del mondo. Il centro.

Vestiamo panni d’entroterra
quelli di chi non conosce il mare
che ha la faccia sporca di fango
e le dita nere, senza i lampioni
a darci la luce e solo mezze voci.
Ma io ricordo che i lampioni
erano accesi sopra al paese
e respirando nel freddo riuscivo
a dare vista alla mia voce.

*

(a mia moglie)

Siamo miniere da scavare, distribuite
dalla lottizzazione dei pensieri, roccia
sgretolata dalla dinamite nella mente
riconvertiamo le nostre destinazioni
all’uso della passione. Tu che scavi
incessantemente cosa cerchi da queste
pareti multistrato, sotto la canicola
che si stampa superata la fessura aspra?
Un nome, un volto modellato che muta
al tuo fiato regolare, linee della fisionomia
creata dal tuo starmi accanto.

Cipriano parla della sua terra, dell’Irpinia, delle cose e delle persone a lui care, delle difficoltà dello stare dentro e sopra un territorio difficile, su un terreno fragile che si regge su profonde spaccature, frazionato, friabile, duro e vulnerabile, ma non racconta la sua storia, Cipriano racconta la storia di tutti, perché tutti dipendiamo da piccole certezze, tutti abbiamo costruito ipotesi di futuro su fragili terreni, sogni prima ancora di case, tutti abbiamo rischiato e abbiamo perduto, anche quando abbiamo vinto. Cipriano prende tutto quello che sa, tutto ciò che ha vissuto e lo mette in versi molto belli e di straordinaria efficacia, ma non fa diaristica, non esercita un semplice esercizio di memoria, scrive del demolito e del costruito, scrive perché a lui interessa il futuro. Gli preme costruire di nuovo e quindi andare ancora più al centro del mondo, che è quotidiano mischiato allo straordinario, altrimenti non esiste. Siamo miniere da scavare e lo saremo sempre, siamo incastri, siamo la ricerca dell’altro, buchi sulle pareti, crepe soprattutto, ma poi siamo stucco, siamo rammendo, siamo vernice nuova, siamo pulizie di primavera e legna per l’inverno, siamo nostro padre, siamo nostro fratello, siamo l’Irpinia, ma non è detto che non si possa essere New York, cambiano le pietre, il fango è lo stesso. Il poeta non crede ai suoi occhi, registra il dono del mondo inverosimile e cerca di trovare un senso e il senso, forse, lo si trova quando ci si accorge delle cose importanti, quando si riesce a trattenerle un po’ di più, a farne tesoro e memoria. Il senso è un gesto, il senso è una misura da ricalcolare giorno dopo giorno, il senso è starsi accanto, il senso lo si trova riconoscendosi, comprendendo le ragioni e i silenzi di chi ci ama, di chi ci perdona, il senso è anche la schiena di chi non si volta indietro, il senso è che se tutto sembra perduto bisogna concentrarsi sul sembra e correre a recuperare o a salvare qualcosa.

Ci sorprende inattesa la paura per la vita, tra il sibilo
della notte e il giorno dirompente. Cosa è importante:
guardare fuori o l’intimità della gente? Con le facce
in mostra non cerchiamo i colori sfrontati della festa
ma l’armonia sussurrata delle cose e le città visitate
sono cave di storie dispari (le loro case mausolei
di calce e soprammobili) ma le ombre si nascondono.
Solo gli odori si prestano al gioco della presenza.

Lo sguardo che proietta nel futuro il mondo di Cipriano, evidenzia un’altra importante domanda: “Cosa è importante: / guardare fuori o l’intimità della gente?”. Il poeta non sa darsi una risposta completa, non vuole e non può, perché importanti sono entrambe le cose, perché dall’intimo, dal segreto delle piccole stanze, dalle luci basse delle cucine parte la spinta per la crescita e la continuità; allora, forse, ipotizzo, quel guardare fuori (che poi è oltre, avanti) non è solo curiosità, è voglia di conoscenza, di scambio, è riconoscersi anche nella pochezza che vediamo in un altro, nell’apparenza e nella sostanza, e di nuovo le ombre, le luci, ma più di tutto conta un odore, che sappiamo passa sotto le porte, attraversa le finestre.

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© Gianni Montieri  su Twitter @giannimontieri

Leggi anche la recensione a Il centro del mondo scritta da Francesco Filia

Una replica a “Una frase lunga un libro #48: Domenico Cipriano, Il centro del mondo”